Un inizio legislatura a due velocità per i lavoratori del parlamento. La Camera, poro prima della fine della XVIII legislatura, ha introdotto un meccanismo per regolamentare il rapporto tra deputati e collaboratori con lo scopo di mettere un freno agli abusi contrattuali. Al Senato, invece, restano in vigore le vecchie norme, all’insegna della deregulation che ha contraddistinto gli ultimi anni. Nella giornata di lunedì, il consiglio di presidenza convocato dalla presidente Elisabetta Casellati non ha raggiunto il numero legale: alla riunione c’erano solo otto senatori su un totale di 18. Le buone intenzioni sono naufragate di fronte al disinteresse di alcuni parlamentari uscenti. In questo modo, palazzo Madama non si è sintonizzato sulla lunghezza d’onda di Montecitorio, dove il presidente, Roberto Fico, ha mantenuto, anche se all’ultimo, la promessa fatta fin dal suo insediamento.

Professionisti e portaborse

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I collaboratori parlamentari pagano un vecchio scotto, ovvero quello dell’etichetta di “portaborse”, figura che nella Prima Repubblica indicava i funzionari di partito o fedelissimi di un leader, al fianco del quale avviavano un proprio percorso politico.

Questa prassi non è del tutto cessata, come testimoniano vari casi, tra cui quello di Fabio Massimo Castaldo che, da ex collaboratore di Paola Taverna, si è candidato ottenendo l’elezione nell’Europarlamento con il Movimento 5 stelle.

Ma è altrettanto vero che esiste un nutrito gruppo di collaboratori parlamentari che non ha ambizioni politiche: sono professionisti con formazione giuridica, laureati, nella maggioranza dei casi, in giurisprudenza o scienze politiche.

Predispongono abitualmente il materiale necessario all’attività del parlamentare, come i testi di emendamenti, proposte di legge, interrogazioni, fino alla cura dell’agenda e alla gestione della comunicazione.

I soldi a disposizione

I regolamenti dei due rami del parlamento prevedono che il rapporto con questi lavoratori rientri nelle spese di “esercizio del mandato”, che ammontano a 3.690 euro per la Camera e 4.180 euro per il Senato.

Queste risorse vengono erogate mensilmente a ogni eletto, possono essere destinate all’affitto di un locale per eventi così come alla stampa di materiale politico, oltre che per l’assunzione del collaboratore.

Il modo in cui vengono spese, però, non è del tutto trasparente. I parlamentari sono tenuti a fornire il rendiconto solo per la metà del budget previsto, con i collaboratori dei deputati che fino a oggi dipendevano dal parlamentare pure per il versamento dei contributi.

Sono stati scelti vari modelli contrattuali, prediligendo la formula della partita iva e dei co.co.pro, pur in presenza di un rapporto di lavoro affine a quello subordinato, con stipendi che mediamente si aggiravano sui 1.200 euro.

La Camera cambia

La novità introdotta dalla delibera firmata da Roberto Fico, come richiesto da tempo dall’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp), consente alla Camera di provvedere direttamente all’emissione dei bonifici per saldare lo stipendio, fungendo da sostituto di imposta per scongiurare mancanze sugli adempimenti previdenziali.

Inoltre, l’ufficio di presidenza di Montecitorio ha indicato un minimo di retribuzione, pari al 50 per cento delle spese per l’esercizio del mandato, quindi intorno ai 1.800 euro. Il Senato, però, resta ancorato alle vecchie regole dopo la mancata approvazione della delibera.

Dall’Aicp, il presidente Josè De Falco spera comunque in un ravvedimento all’ultimo secondo: «Dodici senatori su diciotto sono disponibili a far sì che il mandato della presidenza Casellati possa chiudersi con un atto di giustizia e legalità».

Agitazioni di gruppo

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Oltre ai collaboratori, tra i lavoratori del palazzo in stand-by ci sono i dipendenti dei gruppi parlamentari. Anche questi hanno ruoli relativi all’attività legislativa o di comunicazione. Come consuetudine, la fine della legislatura corrisponde alla cessazione dei loro contratti, la gran parte dei quali di tipo subordinato.

L’eventuale rientro negli uffici è legato alla consistenza dei nuovi gruppi, che vengono finanziati dalle camere con uno specifico stanziamento: per ogni parlamentare ricevono circa 60mila euro all’anno.

Di conseguenza Fratelli d’Italia avrà una dotazione maggiore rispetto a tutti gli altri, favorendo una più precisa strutturazione, a partire dal direttore amministrativo, che gestisce la cassa, e il direttore, che coordina i lavori del gruppo e verifica chi segue i lavori d’aula.

In questo caso si tratta di profili senior, che oscillano tra i 2.500 e i tremila euro, così come il capo del legislativo, fino ai dipendenti, degli uffici legislativi, della segreteria e del comparto comunicazione con una remunerazione che generalmente parte da 1.800 euro. Tanto che molte volte c’è chi, tra i collaboratori, tenta il salto nel gruppo.

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