Turpiloquio, sessismo e insulti. Niente di nuovo per Vittorio Sgarbi, che ancora una volta non ha nessuna paura di perdere il suo incarico di sottosegretario. Eppure di ragioni ce ne sarebbero. L’intervento del critico d’arte al Maxxi lo scorso 21 giugno, pieno di dichiarazioni volgari e misogine, ha provocato imbarazzi anche nel governo, mentre le opposizioni hanno già chiesto che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si pronunci sul caso e che Sgarbi si dimetta.

Niente di tutto questo ha realmente possibilità di accadere, e dalla maggioranza fanno già sapere che è molto verosimile che passi tutto in cavalleria. «La verità – spiega un senatore di destra – è che bisogna stupirsi di chi ancora si stupisce. Sgarbi è in circolazione da trent’anni, se lo si invita a un evento è prevedibile che il discorso possa prendere una certa piega».

Insomma, Sgarbi fa Sgarbi. Dai tempi dello schiaffo subito da Roberto D’Agostino durante una rissa televisiva a L’istruttoria, il programma condotto all’epoca su Italia 1 da Giuliano Ferrara, il critico d’arte ha imboccato la via di spettacoli e politica restando sempre fedele al suo personaggio. Più attivo, soprattutto negli anni recenti, nella pubblicazione generalista che in quella universitaria, sono anni che la sua carriera politica rimbalza tra appartenenze sempre diverse, a dimostrazione di quello che è il grande talento del critico, quello di tenere viva una rete di rapporti vastissima.

La rete dei comuni

Il suo primo incarico è stato – come poteva essere diversamente – a livello comunale. Sindaco di San Severino Marche per soli due anni. Ma l’attività sul territorio è rimasto uno degli assi nella manica di Sgarbi. Sono innumerevoli i neosindaci di centrodestra che si sono sentiti bussare alla porta dal critico, pronto ad assisterli in qualunque incombenza legata al mondo dell’arte. Incarichi che spesso, però, si sono rivelate armi a doppio taglio, durati poco e finiti quasi sempre per qualche performance sopra le righe di Sgarbi.

La tattica del critico era sempre la stessa: lanciare un proprio movimento a poche settimane dalle elezioni e utilizzare la leva del consenso registrato (o presunto) per ottenere – tendenzialmente dal centrodestra – un collegio o un incarico a livello locale. È quello che è successo per esempio nel 2006, quando ha ritirato la sua candidatura a sindaco di Milano dopo la stipula di un patto con la candidata del centrodestra Letizia Moratti per diventare poi suo assessore alla Cultura. Anche questo incarico gli è stato però revocato dopo due anni, dopo che Sgarbi aveva falsificato una delibera della giunta per concedere il patrocinio a una mostra a tema Lgbt a cui palazzo Marino non avrebbe voluto vedersi associato.

Ma Sgarbi un suo seguito ce l’ha, e non prenderlo in considerazione può costare caro. Come è accaduto alle ultime elezioni, quando nel collegio uninominale Valle d’Aosta-01 il candidato di Rinascimento – l’ultima creatura politica di Sgarbi – Giovanni Girardini, ha raccolto quasi il 12 per cento dei consensi, indebolendo così tanto la candidata del centrodestra da permettere l’elezione di Franco Manes del Pd.

I maliziosi del centrodestra attribuiscono anche a questo talento la trasversalità di Sgarbi, sempre pronto a presenziare a qualsiasi festival e disponibile a ogni incarico. Ma, appunto, capace anche di far vincere la sinistra giocando qualche tiro mancino al centrodestra. Dalla sua ha poi la protezione culturale dell’ombrello di rapporti che garantisce a Sgarbi sua sorella Elisabetta, fondatrice della casa editrice La nave di Teseo.

«La zampa sinistra» la definisce con perfidia un parlamentare di maggioranza. Un altro di quelli che hanno colto tutto il potenziale di Sgarbi è stato Silvio Berlusconi. Il critico è stato deputato di Forza Italia nel 1994, nel 1996, nel 2001 (quando è stato anche sottosegretario alla Cultura) e nel 2018. Tra il 1999 e il 2001 ha passato anche due anni all’europarlamento per il Ppe. La fiducia di Berlusconi nell’enfant terrible a cavallo di arte e politica si è dimostrata una delle ultime volte plasticamente durante l’elezione del presidente della Repubblica a inizio 2022. In quell’occasione Sgarbi era diventato il portavoce non ufficiale – autoproclamatosi “acchiappa farfalle” – del fondatore di Forza Italia. Era lui a chiamare a uno a uno i parlamentari per farli parlare con Berlusconi che cercava di convincerli a votarlo come capo dello stato. Un’impresa disperata che perfino il critico stesso arrivò a definire «molto complicata».

Alla fine, dopo il fallimento della cosiddetta “operazione scoiattolo”, Sgarbi si è preso anche l’incarico di raccontare al pubblico di Radiouno che Berlusconi era «abbastanza triste», provocando un incidente diplomatico con gli azzurri, che ci tennero a puntualizzare che «lui non è il portavoce di Silvio. Sicuramente non parla a nome del Cavaliere».

Datato ma indispensabile

Pur sconfessato da Antonio Tajani in quell’occasione, Sgarbi ha potuto contare sull’orecchio di Berlusconi fino alla fine. La sua collocazione attuale è l’ultimo regalo dell’ex premier al critico d’arte. Una nomina per cui il fondatore di Forza Italia, però, non ha dovuto spingere più di tanto, considerato il legame diretto che Sgarbi intrattiene anche con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

A quel posto ha dovuto rinunciare Alessandro Giuli, che però ha potuto compensare con la nomina a direttore del Maxxi. Ma la coabitazione con il capo di quel ministero, Gennaro Sangiuliano, è tutt’altro che serena, motivo per cui la sconfessione delle parole pronunciate al Maxxi dal suo sottosegretario gli è venuta molto facile.

«Sono da sempre e categoricamente lontano da manifestazioni sessiste e dal turpiloquio, che giudico sempre e in ogni contesto inammissibili e ancor più in un luogo di cultura e da parte di chi rappresenta le Istituzioni. Il rispetto per le donne è una costante della mia vita. Per me essere conservatori significa avere una sostanza, uno stile e anche un’estetica di comportamento» ha scritto il ministro della Cultura.

Un’indicazione che è quasi un manifesto della nuova glossa culturale della destra meloniana, più vicina agli interventi pacati e solidi dei Giuli e dei Giordano Bruno Guerri che alle uscite imprevedibili di Sgarbi. Che però resta – insieme al direttore del Maxxi, quello del Vittoriale e altri come Pietrangelo Buttafuoco, tutti già con un piede anche in Rai – una delle pochissime carte che la destra si può giocare in ambito culturale.

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