Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà, l’Italia deve fare i conti soprattutto con le bugie del governo Meloni, che non vuole affrontare la drammatica emergenza sociale, continuando a nasconderla dietro proclami e dichiarazioni trionfalistiche.

Ma i dati raccontano ciò che la politica di governo vuole colpevolmente omettere. Gli ultimi pubblicati da Istat raccontano che l’Italia, nel 2024, ha registrato un record drammatico: oltre 5,7 milioni di persone vivono in povertà assoluta, pari al 9,7 per cento della popolazione. Le cifre evidenziano una crisi persistente che colpisce soprattutto le famiglie numerose, i minori e le persone residenti nel Mezzogiorno.

L’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno una persona migrante è pari al 30,4 per cento e sale al 35,2 per cento nelle famiglie composte esclusivamente da cittadine e cittadini migranti. La povertà assoluta, nonostante le pompose dichiarazioni del governo sulle misure messe in campo per le famiglie, resta più elevata tra nuclei familiari numerosi: raggiunge il 21,2 per cento tra quelle con cinque o più componenti e l’11,2 per cento tra quelle con quattro.

Tra le coppie con tre o più figli, quasi una su cinque è in povertà assoluta. Anche tra le famiglie dove spesso convivono più nuclei o membri aggregati, l’incidenza supera la media attestandosi al 15,7 per cento; mentre tra le famiglie monogenitoriali vive in povertà più di una su dieci.

Cibo e minori

Ci sono, poi, i problemi legati alla sfera dell’alimentazione, che emergono dagli ultimi dati sui consumi delle famiglie: quasi un terzo dei nuclei familiari ha dichiarato di aver ridotto la spesa per il cibo in termini di quantità e qualità.

Marco Piuri, presidente di Fondazione Banco Alimentare, racconta che le richieste di aiuto aumentano: «Cresce quella “fascia grigia” di persone che sfugge alle statistiche perché magari ha un reddito di poco superiore al tetto previsto per le persone in stato di grave deprivazione materiale».

Aumentano in particolare le richieste di prodotti proteici a cui le persone in difficoltà e con poca disponibilità economica si trovano a dover rinunciare. Ma aumentano anche le richieste dei «cosiddetti insospettabili, lavoratori che non arrivano a fine mese, famiglie che chiedono aiuto, domandando di restare nell’anonimato e che privilegiano modalità di aiuto alimentare che preservi la loro riservatezza e tuteli la loro dignità».

Anche bambine e bambini, nel 2024, sono stati tragicamente colpiti dalla povertà alimentare, tra disuguaglianze sociali e territoriali che ne pregiudicano le opportunità di crescita e di futuro: il 26,7 per cento dei minori sotto i 16 anni è a rischio povertà o esclusione sociale e il dato cresce in modo drammatico al sud e nelle isole, dove raggiunge il 43,6 per cento.

Lo nota anche il presidente Piuri: «I dati a nostra disposizione ci confermano il fatto che i beneficiari raggiunti dalla nostra rete di 21 Banchi Alimentari regionali e oltre 7.600 organizzazioni partner territoriali tra gli 0 e i 18 anni sono il 25 per cento del totale degli assistiti pari a 390 mila persone».

Dilexi te, papa Leone contro le ingiustizie sociali, «strutture di peccato» del nostro tempo

Reddito, casa e lavoro

La campagna nazionale “Ci vuole un reddito”, composta da decine di realtà sociali, sindacali e associative in tutta Italia, sta portando avanti una proposta di legge di iniziativa popolare per istituire un reddito di base universale: uno strumento stabile, individuale e incondizionato per garantire a tutte e tutti il diritto a vivere con dignità.

Alberto Campailla della campagna “Ci vuole un reddito”, racconta che tra le oltre due milioni di famiglie povere, «quasi il 22 per cento vive in affitto, schiacciato da canoni insostenibili e dal costo crescente dei servizi essenziali. La questione abitativa è ormai parte integrante della crisi sociale: oltre un milione di famiglie non riesce più a sostenere le spese fondamentali, tra bollette, cibo e affitto».

Il Reddito di cittadinanza, per Campailla, è stato smantellato «senza un’alternativa reale e il salario minimo è rimasto una promessa tradita. Il governo Meloni, invece di combattere la povertà, ha scelto di cancellare strumenti di protezione sociale e di attaccare chi è più fragile», mentre i salari reali continuano a perdere valore e l’inflazione erode ogni giorno la dignità di milioni di persone.

Anche nella legge di Bilancio, secondo Campailla, «il governo vuole ignorare chi è in povertà: nel documento programmatico non c’è nulla. Nessun intervento sostanziale, solo una manciata di parole dedicata alle politiche sociali e alla casa. La parola povertà non è mai citata!».

Per chi sostiene la campagna, la povertà non si combatte con gli slogan, «ma con politiche pubbliche di redistribuzione, giustizia sociale e diritto alla casa. Serve un reddito minimo garantito, serve un salario minimo di almeno 10 euro l’ora, serve una politica abitativa che protegga chi non ce la fa, serve una società che non lasci nessuno indietro».

Anche dal sindacalismo di base emergono preoccupazioni. Emanuele De Luca, coordinatore del sindacato Clap, racconta: «La forbice delle disuguaglianze sociali e salariali si allarga sempre di più, la povertà è in aumento e sempre più persone rischiano di cadere nel baratro. Parliamo soprattutto di lavoratrici e lavoratori, sia dipendenti che autonomi, persone che uno stipendio ce l'hanno ma che non è sufficiente a sostentarle».

Nel frattempo si continuano a smantellare il welfare, la sanità pubblica, la scuola e l'università, la ricerca e l'innovazione, mentre aumenterà «la parte di Pil dedicata agli investimenti bellici, con i salari al palo e la contrattazione di primo livello in drammatico ritardo, quando non addirittura in direzione contraria. Un disastro già annunciato». De Luca conclude: «Sulla prossima legge di bilancio sarà battaglia: o si inverte la tendenza rispetto alla spesa pubblica per welfare e servizi o rischiamo di entrare in una spirale dalla quale sarà difficile uscire».

© Riproduzione riservata