Alla fine della seconda mattinata di ostruzionismo, le opposizioni riescono a guadagnare una riunione dei capigruppo. La chiede per la seconda volta il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia ad apertura di seduta: «Ieri», cioè mercoledì scorso, «la presidenza ha utilizzato la regola del canguro rispetto agli emendamenti presentati. Legittimo. Il totale degli emendamenti cangurati è di 35. Ma lo abbiamo saputo dopo, mentre si stava votando. I gruppi invece devono sapere prima il parere della presidenza sugli emendamenti e sui gruppi di emendamenti. Aver scoperto, mentre si votava, che con la bocciatura di un emendamento si sarebbe cancellato il voto su gruppi di altri emendamenti ci ha lasciato perplessi. E questa decisione che non è stata condivisa con i gruppi ha creato un clima di scontro che noi non cerchiamo», «il tema non è il canguro, che non è in discussione», del resto i precedenti ci sono, «ma va chiarito il modo di utilizzo e quale è il campo di gioco».

La capigruppo viene “concessa” nel pomeriggio. Dopo più di cinque ore, i voti effettuati sono una decina e gli emendamenti di nuovo “cangurati” sono una quarantina, in tutto ottanta. Andando avanti di questo passo ne potrebbero saltare 1.200: ma ne restano altri 1.800. Una cifra inaffrontabile senza forzature.

Ma il presidente Ignazio La Russa al momento ha l’ordine di non forzare la mano: per non dare agli avversari argomenti che possono tornare utili nell’ultimo miglio della campagna per le europee. Soprattutto al Pd: per il 2 giugno, festa della Repubblica, Elly Schlein ha convocato una piazza contro le riforme, premierato e autonomia differenziata. Qualsiasi gesto di arroganza istituzionale in aula sarebbe un buon lancio dell’iniziativa. Non resta che sopportare i minuetti cortesi fra esponenti delle minoranze, e un bel po’ meno cortesi fra questi e la maggioranza.

Ma poi alla riunione dei capigruppo scatta la baruffa: l’ipotesi è che la discussione sugli emendamenti sia contingentata a 30 ore. Voto finale, secondo La Russa, il 18 giugno. «Ho cercato di trovare una via che mettesse fine a un racconto che dall’una e dall’altra parte partiva da presupposti non veri: da un lato che l’obiettivo della maggioranza fosse quello a tutti i costi di chiudere prima della pausa delle elezioni, dall’altro che l'opposizione volesse scongiurare questa data». Le opposizioni la prendono malissimo: «Non ci può essere nessun accordo, noi contestiamo lo scambio politico emerso anche oggi tra Lega e Fdi, perché è evidente che a Montecitorio hanno rinviato l'autonomia al mese di giugno. Sulla pelle della Costituzione si sta giocando una partita politica di scambio tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini», attacca Francesco Boccia.

In aula non c’è il numero legale

La seconda giornata di aula è partita male: al primo voto, il numero legale non c’è. E questo racconta il clima nella destra: con ogni probabilità, la legge non riuscirà ad essere approvata entro le europee. Del resto bisogna procedere di pari passo con l’autonomia, che è invece alla Camera, e che certamente non sarà approvata entro il 9 giugno. Quindi a destra, se non è scattato il “tana libera tutti”, poco ci manca.  I senatori debbono essere precettati per presidiare l’aula. Alla seconda verifica del numero legale, la destra si salva per un voto.

Minuetti cortesi anche a sinistra

Pd, M5s, Avs e Italia viva difendono ad oltranza l’istituto dei senatori a vita, destinato a essere cancellati dal primo articolo del premierato. Da destra arrivano risposte svogliate. Fino a che Maurizio Gasparri (Forza Italia) si lamenta che nell’elenco dei senatori a vita non c’è nessuno riconducibile alla sua area politica. «Si faccia una domanda, si chieda perché non avete esponenti che «hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario», risponde Alessandra Maiorino (M5s). In realtà il fatto è che la destra non ha mai eletto presidenti della Repubblica: e per questo ora «si vendica», ripetono le opposizioni. 

Che però debbono soprattutto riempire il tempo per quello che Simona Malpezzi definisce «quasi ostruzionismo». Dalla maggioranza quasi nessun intervento, solo qualche puntualizzazione sarcastica.  Giovanni Berrino (Fdi) ricorda ai grillini di aver proposto a loro volta la cancellazione dei senatori a vita (oggi si oppongono), i grillini replicano che lo hanno fatto in un contesto diverso rispetto «a una riforma che stravolge la Costituzione».

Per lo più vanno in scena godibili dialoghi fra forze della minoranza: ma più che quando si danno ragione, è interessante quando si danno torto, con una pacatezza mai sentita in circostanze ordinarie. Così Ivan Scalfarotto (Iv) si pente pubblicamente di aver votato il taglio dei parlamentari – sciagurata riforma grillina che Renzi per primo accettò pur di far nascere il governo Conte II – e poi difende la defunta (grazie al referendum popolare) riforma Renzi, che però all’intervento successivo viene radicalmente contestata da Peppe De Cristofaro (Avs). Alla fine anche la maggioranza getta la spugna: e la seduta finisce tre quarti d’ora prima.

Lo scavallo delle europee

Si ricomincia martedì prossimo. Ma subito ci sarà la pausa delle camere per il voto europeo. Il sì finale, dunque, scavalla. Al senato, la meta dell’approvazione comparirà all’orizzonte solo quando la parallela meta del sì all’autonomia si staglierà all’orizzonte della Camera. Ma anche questo dipende dal risultato delle elezioni per Bruxelles. Nella maggioranza «c’è il caos», secondo Boccia; certo non c’è grande fiducia reciproca, se nessuno si fida di dire un sì in un ramo del parlamento, temendo la fregatura nell’altro. 

Zuppi non benedice

Intanto alle riforme della destra italiana non arriva la benedizione del Vaticano, per quanto sia anche uno Stato estero. Il presidente della Conferenza episcopale italiana Matteo Zuppi  è scettico: «Gli equilibri istituzionali vanno toccati con grande attenzione», dice durante la conferenza stampa alla fine della 79esima Assemblea generale dei vescovi. Lo aveva già detto nel corso dell’assemblea: «Richiederebbero molto spirito della Costituzione. Qualcosa che non sia di parte e che non sia contingente». Ma anche lui non sembra convinto che alla fine queste riforme vedranno davvero la luce: «La discussione comunque è ancora aperta, vediamo come andrà». 

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