Il tappo scoppia in tarda mattinata, quando le agenzie battono la notizia del decreto del ministero dell’Economia che reintroduce il cosiddetto “redditometro”. Il testo, datato 7 maggio e silenziosamente pubblicato in Gazzetta ufficiale, porta la firma del viceministro all’Economia di Fratelli d’Italia, Maurizio Leo, di fatto ministro ombra di Giancarlo Giorgetti, con potere assoluto in materia fiscale.

Infatti la misura tocca il fisco e mette sotto la lente dei controlli la capacità di spesa dei contribuenti, per risalire al loro reddito presunto. In altri termini, controllando le spese – dall’acquisto di auto o immobili, al costo delle utenze e dei viaggi – il fisco ipotizza il reddito del cittadino ai fini dell’accertamento.

Lo strumento era stato sospeso nel 2018 ma il decreto ne introduce nuovi parametri a partire dai redditi del 2016. Vengono individuate 11 tipologie di nuclei familiari e 5 aree territoriali su cui fare le indagini a campione e vengono individuate le «informazioni utilizzabili per determinare gli elementi indicativi».

L’effetto politico nella maggioranza è deflagrante, amplificato anche dal fatto che Lega e Forza Italia hanno vissuto la notizia come un’imboscata. «Siamo sempre stati contro il redditometro», è quanto trapela da fonti azzurre, che sottolineano quando la misura li abbia colti alla sprovvista, anche perché «confliggerebbe con il provvedimento del concordato preventivo contenuto nella delega fiscale».

Identica reazione arriva anche dalla Lega, dove il capogruppo in Senato, Massimiliano Romeo, ha confermato che «come centrodestra siamo sempre stati critici», «non è il modo per far emergere il sommerso, per farlo bisogna semplificare il fisco», è la chiosa di Alberto Gusmeroli, presidente della commissione Attività produttive.

Davanti al rischio di uno scontro frontale con gli alleati, Fratelli d’Italia è stata costretta a correre ai ripari, minimizzando e tentando di correggere il tiro. «È un aggiornamento di alcuni parametri. Non annacqua né intacca la riforma fiscale», ha commentato Marco Osnato, presidente della commissione Finanze, riducendo tutto a una «fibrillazione da campagna elettorale». Alla fine della giornata, tuttavia, lo scontro è troppo forte per esaurirlo in poche battute e il firmatario Leo è costretto a intervenire con un tentativo di smentita: nessun redditometro, tutto un abbaglio.

«Il decreto ministeriale mette finalmente dei limiti al potere discrezionale dell’amministrazione finanziaria di attuare l’accertamento sintetico». Secondo Leo, il decreto era atteso da oltre sei anni e serve a colmare una lacuna nell’ordinamento. Il testo non introdurrebbe un nuovo redditometro, ma limiterebbe – normandolo – il tipo di accertamento che il fisco può svolgere «con dei paletti precisi a garanzia del contribuente» e «un sistema con l’obbligo del doppio contraddittorio in caso di incongruenze tra reddito e stile di vita». Tutto un equivoco, insomma.

Eppure, la scossa dentro la maggioranza è arrivata forte, anzi fortissima. Qualunque fosse la volontà reale, Lega e FI hanno fatto trapelare tutto il loro disappunto per essere state tenute all’oscuro di una misura evidentemente controversa o comunque poco chiara proprio su un settore come quello fiscale «che in campagna elettorale non andrebbe mai toccato», fanno notare fonti di Forza Italia.

Con il risultato di un necessario intervento diretto della premier Giorgia Meloni per sedare lo scontro. Fonti di Palazzo Chigi, infatti, hanno fatto sapere che Leo relazionerà durante il prossimo Consiglio dei ministri del 24 maggio, per chiarire che si è trattato della proverbiale tempesta in un bicchiere d’acqua. «Noi siamo da sempre contro, non c’è nessun nuovo redditometro», è il mantra imposto da via della Scrofa.

Il pasticcio, tuttavia, è fatto. Le opposizioni, con il Pd in testa, hanno registrato la confusione del governo che in queste ultime settimane in vista delle europee hanno avuto più di un inciampo, tra gaffe e smentite reciproche tra ministeri. «La regolare attività amministrativa sta passando in secondo piano per colpa di ministri e sottosegretari impegnati a farsi la guerra per racimolare qualche voto in più», ha detto la capogruppo democratica alla Camera, Chiara Braga, citando il Superbonus, il condono sulla casa e la leva obbligatoria.

Il premierato

Nel frattempo, in aula al Senato è andata in scena la coda della discussione generale sul premierato. La riforma tanto cara a Meloni è ormai incardinata verso una approvazione rapida e senza modifiche a palazzo Madama, ma il fuoco amico è arrivato da dove lo si attendeva. In aula ha preso la parola il senatore Marcello Pera, ideologo delle riforme eletto in Fratelli d’Italia, ma primo critico del ddl della ministra Elisabetta Casellati.

Tra una stoccata alla senatrice a vita Liliana Segre («altro che capo di una tribù primitiva, ignoranza da primo anno di giurisprudenza») e una alle opposizioni che avevano tentato una riforma simile con Massimo D’Alema, Pera ha snocciolato tutti gli errori del testo: «Dice che il presidente del Consiglio è eletto direttamente dal popolo, ma non specifica come» e «molte cose sono rimandate a una legge elettorale, ma dico con franchezza che non tutto si può fare mediante una legge elettorale senza una previsione costituzionale che dia un sostegno».

La richiesta è quella di una ulteriore modifica al testo, «mi augurerei non fosse chiuso, ma temo lo sia». Fonti di maggioranza confermano la volontà di una rapida approvazione in Senato, forse una finestra si potrà aprire alla Camera, una volta superato il voto europeo.

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