Poco più di 200 km separano Roma e Benevento, una donna che sta allattando un bambino dentro un’aula e altre quattro che hanno portato la loro creatura, un libro, in finale a un premio. Due scatti che arrivano nello stesso giorno e che raccontano una rivoluzione nella vita pubblica, per le donne italiane. 

La donna che tiene al seno il piccolo Federico, di tre mesi, si chiama Gilda Sportiello, deputata dei Cinque Stelle. Siede su una poltroncina bordeaux nell’emiciclo della Camera, dove fino al 1979 a nessuna era stato possibile diventare presidente. Nessuna, prima di Nilde Iotti.

Disse che quell’istante avrebbe investito «milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso l’emancipazione». Era primavera pure allora, era il 20 giugno 1979.

Nell’altro scatto, quattro donne che sorridono, tre scrittrici, Rosella Postorino, Romana Petri e Maria Grazia Calandrone, con l’editrice della finalista scomparsa, Ada D’Adamo.

Se le parole sono importanti, come dice una citazione usuratissima e come di certo sanno delle scrittrici, due immagini così che si sovrappongono in uno stesso giorno, hanno una forza che scavalca le polemiche, come dimostrano Instagram e TikTok. Le due foto hanno raccolto solo like e commenti positivi.

Una questione di specchi

La strada per le donne nel premio Strega non è mai stata lineare. Come in politica. Gli inciampi, le curve e i passi indietro sono stati descritti da un articolo pubblicato su Domani nel 2020. Giulia Caminito, lei stessa poi candidata al premio letterario più famoso d’Italia, nel 2021 prevedeva «l’anno di una donna» (poi ha vinto Emanuele Trevi, con Due vite). Mettendo le mani sulle statistiche insieme a Giorgia Tolfo, sottolineò quello che forse era a tutti implicitamente ovvio: i candidati uomini erano stati sempre molti di più.

In 75 anni, undici vittorie di una donna, a partire dal 1957 con Elsa Morante, passando da Natalia Ginzburg nel 1963 ad Anna Maria Ortese nel 1967 e Lalla Romano nel 1969. Quando nel 1976 vince Fausta Cialente con Le quattro ragazze Wieselberger, le donne in politica conquistano per la prima volta un ministero, con Tina Anselmi al Lavoro.

Il 1995 è un altro anno di coincidenze. Susanna Agnelli è la prima che va alla Farnesina, Maria Teresa Di Lascia vince lo Strega, nove edizioni dopo Maria Bellonci. Dacia Maraini sarà premiata a dodici mesi di distanza dall’ingresso di Rosa Russo Iervolino al Viminale, e poi verranno Margaret Mazzantini (2002), Melania G. Mazzucco (2003). Il 2018 è l’anno in cui il libro di Helena Janeczek ottiene il maggior numero di voti e i voti al Senato eleggono Maria Elisabetta Alberti Casellati presidente. 

A Montecitorio, per chi ci lavora e per chi riesce a fare il giro aperto al pubblico la prima domenica del mese, dal 2016 è stata aperta la sala delle donne in politica. Sulle pareti ci sono i ritratti delle 21 costituenti; della prima presidente di Regione, Anna Nenna D’Antonio e delle prime dieci sindache elette nel 1946.

Nei posti inizialmente vuoti, sono stati messi degli specchi. Una specie di invito per le visitatrici: «Nessuna donna finora ha ricoperto queste cariche. Potresti essere tu la prima», recita la targa lì sotto. Giorgia Meloni è arrivata il 7 marzo di quest’anno. L’ultimo specchio rimasto vuoto è quello della presidente della Repubblica.

Il premio Strega e la Costituzione sono nati insieme. L’articolo 37 dice: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione».

L’articolo 48 ha fissato il diritto di voto, il 51 l’accesso alle cariche pubbliche: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Ora il 2023 si annuncia allo Strega non come l’anno di una donna, ma di quattro, La maggioranza. La cultura c’è già arrivata, la politica sta migliorando.

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