Scade oggi il primo anno della segreteria di Enrico Letta: dodici mesi in cui il leader del Pd, assistito in parte da una serie di circostanze favorevoli, ha potuto dare una buona prova delle sue capacità. Per adesso la sua linea sembra pagare.

La guerra 

Sicuramente uno dei dossier su cui il Pd sta imponendo di più la sua linea sull’azione di governo è la questione ucraina. Al Nazareno sono state vissute con una certa perplessità le esitazioni iniziali dell’esecutivo sul dibattito internazionale. Alla fine però il governo ha deciso di spedire supporto, anche sotto forma di armi, in Ucraina: la spinta decisiva per il decreto è arrivata proprio dal Pd. I dem hanno saputo anche conquistare le piazze contro la guerra, mettendo in ombra i deboli sforzi pacifisti dei Cinque stelle. Come testimoniano i manifesti ironici per i nuovi tesseramenti che ritraggono Letta con elmetto e giubbotto antiproiettile, la posizione è stata ritenuta fin troppo aggressiva per alcune realtà di sinistra, ma la scelta di intestarsi la difesa degli ucraini ha pagato dal punto di vista comunicativo.

Si tratta di un singolo dossier che è però rappresentativo di come sia mutato il rapporto dei dem con il governo Draghi. Se, soprattutto nei primi mesi di governo e nuova segreteria, il Pd aveva di fatto subìto la leadership del premier, un po’ alla volta, complici i tentativi di smarcarsi della Lega trasformatisi in boomerang, Letta è riuscito a ritagliarsi un ruolo di peso nel governo, anche a costo di puntare più volte i piedi di fronte al presidente del Consiglio. 

Unità nel partito e rapporti esterni

Se Letta si è saputo imporre negli equilibri di governo è anche merito della pace interna che attualmente tiene in equilibrio le correnti interne al partito. Il segretario ha imposto un classico divide et impera infrangendo l’asse che si stava creando tra Dems, la formazione interna del ministro Andrea Orlando e del vicesegretario Peppe Provenzano, e Base Riformista, guidata dal ministro Lorenzo Guerini. 

Certo, resta molto da lavorare sul rapporto con i potenti presidenti di Regione meridionali del Pd Vincenzo De Luca e Michele Emiliano. Entrambi continuano a conservare un’influenza forte, seppur localizzata, e sono spesso in conflitto con il segretario.

Letta si è speso però anche per riprendere i contatti con la sinistra extra Pd. Ne sono prova le Agorà democratiche, gli spazi di confronto che hanno dimostrato un approccio differente ai contatti coltivati dai segretari precedenti. Non sono mancati anche i contatti con i Verdi, incoraggiati negli ultimi mesi dal segretario, e con Sinistra italiana. Il terreno è fertile, e pochi giorni fa due realtà come Articolo Uno e Democrazia solidale si sono dette pronte a realizzare insieme un «nuovo soggetto plurale» di sinistra. A patto però che il segretario dem proceda spedito in questa direzione.

Il rapporto coi Cinque stelle

Il cantiere del cosiddetto campo largo con il Movimento 5 stelle può essere letto secondo due direttrici: da un lato, Letta è riuscito a riconquistare il ruolo di traino nell’alleanza giallorossa approfittando anche della situazione disastrosa in cui versa il Movimento. Oggi, soprattutto sul tema del conflitto tra Kiev e Mosca, Giuseppe Conte, zavorrato dai problemi giudiziari che inseguono i Cinque stelle e dalle posizioni filoputiniane di alcuni esponenti di partito, riesce solo a inseguire il Pd. Anche nell’azione di governo, le istanze del Movimento tendono a passare in secondo piano rispetto a quelle degli alleati dem.

Dall’altro lato però, i Cinque stelle rischiano di trasformarsi in peso morto alle prossime amministrative di giugno, quando ci sarà da riaprire il complesso capitolo delle candidature condivise.

L’ampio ventaglio di alleanze, che sulla carta va dal Movimento alle formazioni di sinistra crea così una situazione che permette a Letta di ambire, in prospettiva, anche a palazzo Chigi. Sul desiderio del segretario, però, si allunga ancora l’ombra di una nuova legge elettorale, una variabile che potrebbe cambiare tutte le carte in tavola. 

Le amministrative e il Quirinale

Ma, almeno per ora, la strategia delle alleanze sembra aver pagato. Gli ultimi appuntamenti elettorali hanno premiato il Pd, soprattutto la tornata di amministrative dello scorso autunno: i dem hanno riconquistato Roma, Torino e Napoli e confermato Milano e Bologna, un en plein che ha fatto guadagnare a Letta peso politico dentro e fuori al Pd. 

La capacità di imporre una linea anche all’interno della maggioranza ha trovato riscontro anche nella corsa al Quirinale, quando il Pd, nonostante una situazione di partenza non favorevole al centrosinistra, ha portato a casa l’esito desiderato. Alla fine, infatti, dopo le candidature fallite dei candidati della destra e quella di Draghi mai davvero decollata, il Pd ha saputo portare a casa, insieme alla parte più governista del Movimento, un sostegno sufficiente per garantire la rielezione di Sergio Mattarella, garanzia di stabilità. 

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