La prevedibile e opportuna decisione con cui l’Agcom ha dichiarato la «non conformità ai principi di parità di trattamento e di imparzialità dell’informazione di un unico confronto televisivo fra solo due soggetti politici», messo in calendario da Porta a Porta per il venerdì precedente il voto, non ha risolto la questione dell’uso del mezzo televisivo in campagna elettorale.

L’idea di un faccia a faccia esclusivo fra Enrico Letta e Giorgia Meloni rispondeva perfettamente agli interessi di una televisione orientata alla massimizzazione degli ascolti e alla creazione dell’evento spettacolare (come dimenticare la firma del contratto con gli italiani del 2001) ed era al contempo funzionale alla polarizzazione della campagna e all’oscuramento degli altri leader, perseguita da Letta e Meloni.

L’esempio francese

Nel caso del faccia a faccia svoltosi in Francia il 21 aprile fra i due candidati al ballottaggio alle elezioni presidenziali Emmanuel Macron e Marine Le Pen, portato ad esempio per giustificare la proposta, la selezione dei due candidati era il risultato del voto espresso dai francesi nel primo turno, in occasione del quale TF1 il principale canale televisivo francese ha organizzato dibattiti con la contemporanea presenza degli otto principali candidati e non, come sarebbe stato in questo caso, una scelta di una redazione giornalistica sulla base dei sondaggi, in accordo con gli staff dei due partiti. Una proposta poco sostenibile in termini di completezza, qualità e imparzialità dell’informazione, sulla quale è subito intervenuto Enrico Mentana offrendosi di ospitare su La7 una attività da servizio pubblico.

Così, a pochi giorni dall’inizio della campagna elettorale ufficiale fissata per il 26 agosto, resta ancora oggetto di discussioni come gli italiani saranno informati tramite la televisione e con quale modalità e garanzie. Il rapporto fra tivù e politica è da sempre tema caldo che si arroventa col voto.

A ben poco sono serviti l’emanazione della legge sulla par condicio, la presenza dal 1975 di una Commissione parlamentare di vigilanza e, dal 1997, dell’Agenzia per il controllo della comunicazione. Non ultimi, ci sarebbero pure i vertici Rai che forse dovrebbero porsi il problema di specificare in anticipo le modalità di accesso della politica in tivù.

Quando, nel lontano ottobre del 1960, la Rai su richiesta della politica e su indicazione della Corte costituzionale inaugurò Tribuna elettorale venne concesso lo stesso spazio a tutti i partiti presenti in parlamento a prescindere dalla loro consistenza elettorale, in rispetto del principio di rappresentanza e pluralismo. E si trattava di una Rai famosa per censure e visione oscurantista, sottoposta al diretto controllo del governo, guidato da Amintore Fanfani.

Le formule in quell’occasione furono la conferenza stampa e l’appello, mentre il faccia a faccia, che in quei mesi diventava famosissimo coi tre dibattiti negli Usa fra Nixon e Kennedy, oltre a non rientrare nello stile della Rai pedagogica dell’epoca, non era gradito dai leader che non ambivano a confronti muscolari.

Nei primi anni Settanta, col rinnovamento delle formule arrivarono i dibattiti a due, che videro confrontarsi anche Giulio Andreotti e Giorgio Almirante. Grande fu però il disappunto nel constatare che, come dichiarò Jader Iacobelli, «anziché la sciabola i contendenti preferivano impugnare il fioretto» preoccupati, «più di essere colpiti che di colpire».

La tivù non era ancora diventata l’arena alla quale affidare l’esito di una elezione. Per assistere a faccia a faccia televisivi fra sfidanti diretti bisogna attendere gli anni Novanta e due profonde trasformazioni. Da un lato, la rivoluzione nelle logiche di offerta della televisione, che apre all’infotainment e al nuovo genere del talk-show politico. Dall’altro, la riforma della legge elettorale per le amministrative del 1993 con l’elezione diretta del sindaco. Milano Italia organizza i confronti fra i candidati al ballottaggio a Milano e Torino.

L’anno successivo, la riforma della legge elettorale per le politiche prevede la figura del leader di coalizione. Braccio di Ferro, condotto da Enrico Mentana, coglie la novità e organizza su Canale5 sei confronti fra coloro impropriamente definiti candidati premier. Il più famoso è quello fra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto del 22 marzo 1994, con Gad Lerner, Ferruccio De Bortoli e Mino Fucillo.

Da allora i confronti televisivi fra i principali candidati sono diventati uno dei riti della telepolitica, un evento spettacolare prima ancora che politico, visto e analizzato secondo i criteri del conflitto e della boxe oratoria, schiacciati fra le logiche dell’audience e gli interessi dei leader, che in molte occasioni si sono sottratti al confronto. Con buona pace dell’interesse degli elettori a una informazione completa, imparziale e regolamentata.

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