La candidatura di Silvio Berlusconi è quanto di più «imbarazzante» ci possa essere per Fratelli d’Italia. «Poi in pubblico ognuno dice quello che deve».

È questa stando al racconto di un funzionario dei gruppi parlamentari di FdI, la linea ufficiale del partito di Giorgia Meloni: nascondere con il silenzio e le dichiarazioni di facciata, la propria ritrosia verso la candidatura del leader di Forza Italia. E attendere.

Aspettare, perché no, che Mario Draghi salga al Quirinale anche con l’aiuto dell’opposizione. Per Meloni si presenta una grande occasione: contribuire all’elezione di un presidente della Repubblica come il premier significherebbe accreditarsi anche fuori dai confini italiani.

Se l’ex Cavaliere, nel 1993, ha sdoganato l’allora Movimento sociale italiano, contribuendo alla nascita di Alleanza nazionale ripulita dai resti postfascisti, per FdI eleggere un capo dello stato con una forte reputazione internazionale, significherebbe compiere il percorso da forza sovranista a quel movimento conservatore tante volte evocato negli ultimi mesi. Sarebbe insomma la fine della retorica dell’impresentabilità.

Nelle intenzioni di FdI, l’ipotesi che è quella di contrattare l’elezione di Draghi con lo scioglimento delle camere e le elezioni anticipate.

Ma è una ipotesi alla quale nessuno crede davvero. Ma Meloni ha precisato, intervenendo a Porta a Porta, che se Draghi al Quirinale significa «un altro governo con un altro presidente del Consiglio che esce dal cilindro, una legge proporzionale per avere un inciucio a vita» allora il suo partito dirà di no.

Certo è che il voto dei grandi elettori di FdI per Draghi andrebbe a consolidare i buoni rapporti che già ora esistono tra il premier e Meloni. E, soprattutto, aprirebbe uno scenario diverso dopo le prossime elezioni.

Nel caso che il centrodestra uscisse vincitore dalle urne e FdI confermasse la sua leadership, chi vorrebbe sbarrare a Meloni la strada verso palazzo Chigi avrebbe un argomento in meno.

 

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