Il vertice di centrodestra si farà sabato 22 gennaio. La mancata convocazione, fino a venerdì sera, non era un buon segnale. Così come l’ipotesi che Silvio Berlusconi, una volta deciso di confessare l’inevitabile, ovvero di non avere voti a sufficienza per farsi eleggere come prossimo presidente della Repubblica, appoggi l’attuale premier Mario Draghi pur di non dare spazio a un’altra figura di centrodestra. O lui o nessun altro della sua area.

E crea fastidio la figura del leader della Lega, Matteo Salvini, nelle vesti del tuttofare, che, nell’attesa che Berlusconi si decida di arrendersi all’evidenza, alza il telefono, organizza incontri con il centrosinistra e con il Movimento 5 stelle, si prende la briga di trovare un nome senza i suoi alleati.

Si muove tra queste tre incognite Giorgia Meloni. La silenziosa, rispetto al passato, leader di Fratelli d’Italia che nelle ultime settimane ha tenuto un profilo basso rispetto alla partita del momento. Gioca in porta ma con nessuna intenzione che qualcuno faccia gol alla sua squadra.

Non incoraggia i capricci dell’ex presidente del Consiglio e allo stesso tempo non vuole stare a guardare Salvini mentre siede a tavoli che non la comprendono, ma Meloni punta più di tutto a tenere in piedi la coalizione di centrodestra. «Segue un progetto che va molto più in là del Quirinale», spiega un dirigente che conosce le dinamiche del partito e i movimenti di chi lo guida.

La legge elettorale

Oggi in ballo c’è un nome per sostituire Sergio Mattarella ma domani un possibile nuovo governo, magari frutto di rimpasto, e una maggioranza che dovrà mettersi d’accordo sulla legge elettorale.

Meloni, dice lo stesso dirigente, vuole proteggere l’idea di andare al voto con il sistema maggioritario, che potrebbe avvantaggiare i tre partiti uniti, e nel frattempo cerca di disinnescare le corse solitarie all’interno di una coalizione che può spappolarsi sulla via che sale al Colle.

La linea l’ha tracciata la stessa leader a Porta a Porta qualche giorno fa: «Un altro governo con un altro presidente del Consiglio che esce dal cilindro, una legge proporzionale per avere un inciucio a vita” riceverà il no del suo partito. Il Quirinale è legato, insomma, anche alle elezioni future, alla legge elettorale, importantissima, e Meloni lo ha presente più dei suoi compagni di coalizione.

Ha chiesto in tutti modi di convocare il vertice, annunciato per questa settimana, e lo ha ribadito due giorni fa: «Per come la vedo io, è inevitabile che si svolga prima della fine della settimana quindi spero sia calendarizzato nelle prossime ore. Altrimenti lo chiederò ufficialmente».

Il vertice si terrà e lei più di tutti lo ha chiesto con insistenza. Teme che gli alleati giochino delle partite parallele alle sue spalle: Berlusconi facendo il passo indietro ma non in favore di un altro candidato di centrodestra (i nomi in circolazione sono sempre gli stessi, da Elisabetta Casellati a Gianni Letta, da Letizia Moratti a Franco Frattini), ma per Draghi o addirittura per il bis di Mattarella; Salvini, invece, lavorando a una sua partita sganciata dal centrodestra, con possibili intese con il Movimento 5 stelle e il Pd, che sarebbero il preludio di un meccanismo che potrebbe dividerli anche di fronte alla riforma elettorale.

Meloni è in un cul de sac e la sua insistenza per convocare il vertice lo evidenzia, chiederà di muoversi in maniera unita e di proporre un nome di centrodestra. A questo punto andare al voto tra tre mesi o tra un anno cambia poco se la coalizione di fronte a questa prova parte indebolita.

La disciplina

Tra Camera e Senato i parlamentari di Fratelli d’Italia la seguono, nonostante Berlusconi non sia amatissimo. Lo spiega un funzionario che lavora con il gruppo a Montecitorio: «Se FdI non avesse una grande disciplina di partito, con Berlusconi al voto succederebbe quello che è accaduto con Prodi, un bagno di sangue. Ma la linea ufficiale verrà seguita». L’unità, dunque, ora passa attraverso la rinuncia di Berlusconi, che non ha numeri, e la scelta di un nome che rappresenti le destre.

La linea della leader comunque è coerente con l’atteggiamento tenuto nelle ultime settimane: nessuna forzatura, anche a fronte del fatto, spiega un senatore di esperienza come Ignazio La Russa, «siamo consapevoli che al di là dei sondaggi, oggi abbiamo 63 grandi elettori, non tanti quanti Lega e Forza Italia, non ci piace gonfiarci, teniamo quindi un profilo adeguato ma che non vuol dire proporre zero».

È verosimile però che durante il vertice Meloni cerchi di imporre un metodo, che porti la fine delle fughe in avanti personali dei due compagni di coalizione. Pur di tenerla in piedi, riferisce un dirigente di FdI, «credo che Meloni potrebbe dare il via libera anche all’elezione di Draghi al Colle». Un’informazione però che molti parlamentari non si sentono confermare.

Mentre Berlusconi gioca una partita personale, l’altro, Salvini, non riesce a stare fermo. Meloni invece attende, raccoglie consensi superando dei sondaggi la Lega, le prossime elezioni possono essere le sue. Meloni punta tutto sull’unità perché potrebbe portarla tra poco più di un anno lì dove vuole arrivare, a palazzo Chigi.

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