Lo scontro sul programma di Roberto Saviano fa un salto di qualità. A riaprire la questione dell’esclusione del programma dello scrittore dai palinsesti (in cui era stato inserito quando già aveva utilizzato quelle espressioni che oggi lo metterebbero in contrasto con il codice etico di viale Mazzini) è stata Marinella Soldi.

La presidente ha chiesto «un supplemento di riflessione interna» sulla decisione di cancellare il programma «per ricercare, in tempi idonei, una soluzione gestionale nell'interesse degli utenti e dell'azienda, tenendo conto, tra l'altro, che si tratta di un programma già registrato». Un intervento molto diretto per gli standard della presidente, che finora si è mossa con discrezione, pur tenendo il punto su questioni che le stanno a cuore, come la parità di genere. E che le ha fatto guadagnare le critiche delle destre, mentre il Pd ha presentato un’interrogazione al parlamento europeo a firma della vicepresidente Pina Picierno.

Più defilato il Movimento 5 stelle, che dopo l’intervento isolato di Federico Cafiero de Raho a difesa dello scrittore non è più tornato sulla vicenda. Le parole di Soldi mettono ora in difficoltà la doppia punta meloniana alla guida di viale Mazzini. Roberto Sergio e Giampaolo Rossi hanno applicato a Saviano lo stesso trattamento riservato a Filippo Facci dopo che la striscia dell’editorialista di Libero è stata cancellata da Raidue per manifesta incompatibilità. Una scelta che sa di vendetta, anche se il paragone tra i due episodi era stato respinto per primo da Saviano, ed è stato di nuovo sconfessato da Soldi. Secondo la presidente sono «vicende diverse, per quel che ciascuno ha detto e per le tipologie di programma».

A incassare ieri sono stati però anche i nuovi direttori delle testate Rai, schierati in prima fila alla cerimonia del ventaglio del Quirinale. Dove hanno ascoltato il presidente della Repubblica parlare del valore della verità in contrapposizione alla propaganda: il capo dello Stato ha sottolineato anche che «all'informazione libera e indipendente le istituzioni devono riconoscimento e tutela massima, è l'antidoto alle forme più diverse di disinformazione». Parlare a nuora perché suocera intenda.

Il canone resta

Eppure, il duo Sergio-Rossi – ricevuto nel pomeriggio al Quirinale insieme alla presidente Soldi per un saluto istituzionale – aveva appena potuto contare su un alleato inedito. Nonostante abbia infatti criticato aspramente la mancanza di trasparenza dell’azienda sui compensi degli “artisti” (che per viale Mazzini sono però anche alcuni giornalisti, come Bruno Vespa), Giancarlo Giorgetti ha tolto una freccia all’arco che Matteo Salvini si appresta a impugnare in vista delle prossime elezioni europee. Il ministro dell’Economia, volto dell’azionariato dello stato in Rai, ha sconfessato di fronte alla commissione di Vigilanza Rai i piani del segretario del Carroccio di eliminare il canone Rai, o almeno di estrapolarlo dalla bolletta, dove era finito durante il governo Renzi. Niente da fare, come ha assicurato il ministro dell’Economia anche a Sergio durante un colloquio in mattinata, durante il quale si è parlato anche degli stati generali della tv pubblica, antico progetto di Rossi, che dovrebbero esser organizzati per ottobre.

Il canone resta sicuramente in bolletta anche per il prossimo anno, per la gioia delle opposizioni, ma anche di Fratelli d’Italia e Forza Italia. I partner di coalizione sono contrari per interessi confliggenti: mentre i meloniani hanno tutto l’interesse a garantire ai loro dirigenti gli strumenti necessari per portare a termine l’occupazione del servizio pubblico, gli azzurri non hanno interesse a veder sbarcare la Rai sul mercato della pubblicità senza i limiti che fino a oggi l’hanno resa una concorrente con le unghie spuntate rispetto alle reti private come Mediaset.

Alla Lega salviniana resta soltanto il premio di consolazione. Giorgetti ha prospettato la possibilità di intervenire sulla quota degli investimenti Rai finanziati col canone: sottraendoli dai novanta euro spalmati attualmente sulle bollette di tutto l’anno, si può ridurre l’importo. Esattamente come si può tagliare la cifra intervenendo sulla quota che oggi finisce nel fondo per l’editoria, neanche venti euro rispetto ai novanta totali.

Entrambe le voci di bilancio potrebbero finire per essere finanziate dalla fiscalità generale: «Sono cifre relativamente piccole, che in fase di legge di bilancio si possono recuperare facilmente» spiegano dalla maggioranza. Un gioco delle tre carte, insomma, che però permetterebbe alla Lega non solo di avere uno scalpo da esibire al suo elettorato, ma anche di tagliare un ulteriore onere non correlato dalla bolletta. Un aspetto non secondario, visto che l’Unione europea spinge da tempo per la rimozione delle tasse che non riguardano le forniture dalla bolletta. Più avanti, poi, si potrà anche ragionare di spostare l’imposta. Non per tornare allo storico bollettino postale, che farebbe schizzare l’evasione ai livelli del passato, ma traslandola dalla bolletta dell’energia elettrica all’utenza telefonica.

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