«Una condanna a 13 anni e 2 mesi potrebbe significare la fine di tutto questo sogno». Mimmo Lucano non fa neanche in tempo a finire la frase che si alza un boato di “No” da tutte le persone che hanno raggiunto Riace e che non vogliono neanche sentir pronunciare la parole «fine». «Mimmo non ti lasciamo da solo», si sente urlare.

Sono passate poco più di 24 ore dalla notizia della condanna da parte del Tribunale di Locri dell’ex sindaco del borgo calabrese e in tantissimi hanno risposto all’appello di ritrovarsi qui, per manifestare la loro solidarietà. Domani e dopodomani in Calabria si terranno le elezioni regionali, e Lucano è capolista di Un’altra Calabria è possibile, che sostiene il candidato presidente Luigi de Magistris, sindaco uscente di Napoli. Quello di ieri sarebbe dovuto essere l’evento di chiusura della campagna elettorale, ha assunto tutto un altro significato. E mentre a Riace arrivano tantissime persone per dare sostegno a Mimmo Lucano, in altre città italiane altrettante si riuniscono per lo stesso motivo.

Il candidato presidente è arrivato nel primo pomeriggio: «In una regione in cui si arranca molto spesso nel contrasto alla borghesia mafiosa, si fa fatica a trovare condanne per corruzione, per quelli che si sono rubati tutto il denaro pubblico su acqua, sanità, depuratori, rifiuti, mi ha fatto male scoprire ieri mattina che il criminale di questa regione è l'ex sindaco di Riace», ha detto l’ex magistrato sindaco di Napoli. «Mi ha fatto male come cittadino del mondo e abitante di questa terra, come ex magistrato e come sindaco».

Poi la manifestazione. L’anfiteatro di Riace, tutto colorato, è pieno di striscioni: “Siamo tutti Mimmo Lucano. Orgogliosamente complici”. L’ex sindaco, che dal 2004 in poi ha messo in piedi un nuovo modo di intendere l’accoglienza, a tratti si vergogna a farsi vedere in lacrime, è commosso, cerca di dissimulare le sue emozioni.

Il modello Riace

L’esperienza di Riace, dove si è sviluppato un sistema di accoglienza dei migranti che ha attirato l’attenzione di media, università e istituzioni di tutto il mondo, ha avvicinato tantissime persone. Il modello Riace, ispirato a principi di solidarietà e accoglienza, è stato descritto dal tribunale di Locri come un’associazione a delinquere. Abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono le accuse che gli sono valse la durissima condanna a 13 anni e 2 mesi di carcere, considerata spropositata da gran parte dell’opinione pubblica.

Quando prende il microfono per ringraziare tutti coloro che sono arrivati fin qui, Mimmo Lucano è visibilmente emozionato. La delusione per una condanna che era convinto - come lui stesso racconta - che sarebbe stata piuttosto una assoluzione, è forte. «Non riuscivo nemmeno a capire se stavo sognando», racconta l’ex sindaco del paese, incredulo.

«Quello che più mi preoccupa è che queste storie giudiziarie creano un dubbio, delle incertezze. Io ho passato una vita a immaginare riscatti sociali, a credere nell’impegno politico, e mi trovo al centro di queste accuse terribili». Una delusione che chiama in causa ciò che per anni è stato l’obiettivo del progetto sociale di Riace: dare voce al popolo degli oppressi. «Il Tribunale di Locri ha detto che ero a capo di un’associazione a delinquere. Ma io da sindaco ho solo cercato di rispettare la dignità di queste persone. Il nostro centro di accoglienza erano le case del borgo, non le baraccopoli o le tendopoli».

L’esperienza di Riace, come racconta lo stesso Lucano, partiva da un meccanismo molto semplice: qui venivano accolte persone in cerca di speranza, ma che hanno finito per portare speranza e riscatto in luoghi quasi abbandonati. Lucano continua a ripetere di non avere paura delle conseguenze materiali di questa condanna, cioè il carcere, ma piuttosto del fatto che si possa insinuare nella gente il dubbio: «Abbiamo fatto il frantoio, la fattoria sociale, le case per il turismo solidale, i laboratori multietnici. Abbiamo cercato di far rimanere chi arrivava, e costruire processi di integrazione e sviluppo per il territorio. Ecco perché Riace ha fatto la differenza, ma il tribunale ha considerato tutto questo un reato. Noi ci schieriamo con l’umanità che chiede diritti», conclude Mimmo Lucano, citando Peppino Impastato e Peppe Valarioti.

Aboubakar Soumahoro

Anche Aboubakar Soumahoro arriva a Riace per sostenere Mimmo Lucano. Il sindacalista impegnato da anni della tutela dei diritti dei braccianti, dà la colpa di una sentenza così dura alle norme che da 30 anni regolano l’immigrazione in Italia. «Queste norme sono entrate a far parte della nostra cultura, del nostro pensiero e siamo diventati razzisti senza accorgercene», dice Soumahoro. «La politica deve smetterla di commentare le sentenze e deve affrettarsi a cancellare quelle norme disumane: i decreti sicurezza, la Bossi-Fini, gli accordi con la Libia. Questo è il tessuto che ha permesso la condanna di Mimmo Lucano».

Il rischio, secondo Soumahoro, è che Riace si trasformi in un luogo di pellegrinaggio politico o turismo politico. «Trasformiamo questo momento in quello che deve essere il sogno di tutti. Dobbiamo essere il prodotto malriuscito di quello che loro volevano. Ci volevano neri contro bianchi? Gay contro gli altri? E noi li abbiamo stupiti! Dobbiamo federare le persone che sono state divise», tuona dal palco improvvisato al centro dell’anfiteatro di Riace, mentre abbraccia Lucano.

I messaggi di sostegno a Lucano di coloro che non possono essere fisicamente in Calabria sono tantissimi, da Roberto Saviano a Fiorella Mannoia, da Ada Colau a Vauro. E tra un messaggio e un coro di solidarietà, va in scena Riace Social Blues, uno spettacolo musicale che ripercorre la storia del borgo della locride.

L’atmosfera che si respira a Riace però non sembra affatto quella di una comunità triste per una condanna che considera durissima e ingiusta. Bambini, ragazzi, cittadini del paese, gente venuta da fuori. Musica, canti, applausi, cori, balli. De Magistris è «più orgoglioso di camminare insieme a Mimmo che non deve mollare. Perché è la dimostrazione che in questo paese non sempre legalità e giustizia coincidono». Domenica i calabresi decideranno e il candidato presidente rilancia la sua posizione politica: «Sono ancora più determinato a vincere per la Calabria onesta che ha sete di giustizia».

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