Dopo l’imbarazzo è il momento di individuare le responsabilità interne e dello scarica barile. A quarantotto ore dalla pubblicazione dell’audio della telefonata di Giorgia Meloni con un sedicente diplomatico africano dietro cui si nascondevano due comici russi, palazzo Chigi sta cercando una via per minimizzare e contemporaneamente chiudere la polemica.

Impossibile cancellare la figuraccia a livello internazionale, la linea della presidenza del Consiglio è sottolineare che Meloni ha detto in privato più o meno le stesse cose che sostiene in pubblico (ma con giudizi più netti sul poco sostegno europeo sui migranti e sullo scarso successo della controffensiva ucraina). Non solo, il sottosegretario con la delega ai servizi, Alfredo Mantovano, ha anche aggiunto che Meloni «l’ha capito subito» che quello al telefono con lei non fosse il presidente dell’Unione africana. Mistero, allora, sul perchè non abbia chiuso la comunicazione.

Al netto dei tentativi di tamponare il pasticcio, tuttavia, quanto sta emergendo è che qualsiasi prassi di sicurezza sia saltata nel caso della telefonata con il sedicente diplomatico. E questa leggerezza sia tutta da attribuire agli uffici di palazzo Chigi e dunque a quella che è soprannominata la “fiamma magica” che sta intorno alla premier.

Normalmente, infatti, se qualche istituzione prende contatto con palazzo Chigi per chiedere un colloquio con la presidenza del Consiglio, la mail viene inviata dall’ufficio di Mantovano a quello del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, che a sua volta le smista per verifica all’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna) se la vicenda riguarda la sicurezza nazionale, o all’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) se si tratta di interlocutori stranieri. Un check finale spesso viene chiesto anche al ministero degli Esteri.

Nel caso della call con quelli che poi si sono rivelati per essere i comici russi, invece, nulla si è mosso nè sul fronte dei servizi di intelligence nè dalla Farnesina, rimasti all’oscuro di quanto stava per accadere.

Chi ha passato la telefonata

Formalmente, la responsabilità del macroscopico errore è stata accollata all’ufficio diplomatico di palazzo Chigi e al suo vertice, Francesco Talò, già vicino al pensionamento. Con una sgrammaticatura, infatti, il comunicato diramato da palazzo Chigi dopo la pubblicazione della telefonata ha immediatamente chiamato in causa il consigliere diplomatico, individuandolo come capro espiatorio.

Inevitabilmente la responsabilità delle mancate verifiche ricade sul suo ufficio, ma la vicenda potrebbe nascondere un cortocircuito ulteriore. In particolare, collegato ai difficili contatti tra lo staff ufficiale di palazzo Chigi e l’inner circle di Giorgia Meloni e che lei ha portato in blocco con sè da via della Scrofa, che ha al vertice la segretaria Patrizia Scurti. I comici russi, secondo una fonte molto vicina a palazzo Chigi, avrebbero scelto di arrivare a Meloni proprio sfruttando le ingenuità procedurali di questo secondo blocco di collaboratori della premier, refrattari ad accogliere suggerimenti o quelle che considerano ingerenze esterne.

La stizza di Tajani

Se questa vicenda – che ha coperto di imbarazzo l’Italia a livello internazionale e messo in moto il personale diplomatico per ricucire i danni – può insegnare qualcosa è proprio che la logica della “fiamma magica” deve finire. O comunque, che palazzo Chigi non può essere il fortino dei soli fedelissimi di Meloni, nelle cui mani si sono evidentemente concentrate responsabilità che non sono in grado di gestire. 

A farsi portavoce di questa insofferenza è stato indirettamente Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri e vicepremier, solitamente pacato e attento alle dichiarazioni, non ha usato giri di parole: «Certamente c'è stata una superficialità da parte di chi ha organizzato la telefonata e questo non deve più accadere», ha detto su Rai1 a Ping Pong. 

La critica è chiara all’operato di quelli che fino ad ora hanno gestito agenda, contatti e impegni di Meloni e che, nella foga di asserragliarsi e di preservare la premier da quelli che l’entourage di Fratelli d’Italia ha bollato come «poteri forti» – hanno aperto una falla nella sicurezza nazionale.

Il Copasir è già intervenuto con una interlocuzione con Mantovano e le opposizioni hanno chiesto a Meloni di riferire in aula sull’accaduto. La gravità della vicenda, infatti, non riguarda tanto il merito delle parole della premier quanto la evidente permeabilità della struttura che la circonda, oltre all’inadeguatezza del personale di cui si è circondata.

 

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