Sono state ore di imbarazzo e rabbia, quelle di ieri pomeriggio a palazzo Chigi dopo che è stato pubblicato l’audio di una telefonata datata 18 settembre in cui la premier Giorgia Meloni ha parlato a tutto campo di strategie internazionali con due comici russi, uno dei quali si era presentato come un diplomatico africano. 

In poche ore quello che doveva essere un tranquillo giorno festivo si è trasformato in enorme pasticcio internazionale e poi nella caccia al capro espiatorio nell’ufficio diplomatico di palazzo Chigi. 

La dinamica dei fatti ma soprattutto i concetti ascoltati dalla viva voce di Meloni segnano la più grossa debacle della premier da quando si è insediata al governo, proprio nel settore – la politica estera – a cui lei più tiene e che le stava riuscendo meglio. La responsabilità degli errori, per altro, non può che essere attribuita a falle di sistema nella macchina degli uffici di stretta fiducia di Meloni, che non potrà – come già successo in passato – addossare la colpa ad altri. Al «rammarico» per l’accaduto manifestato da palazzo Chigi in un imbarazzato comunicato stampa, infatti, fa eco lo «sconcerto» manifestato da una fonte della Farnesina sentita da Domani.

Nè il ministero degli Affari esteri nè i servizi di intelligence, infatti, erano stati informati della telefonata tra Meloni e il presunto diplomatico africano e dunque nessuna verifica preliminare sarebbe stata fatta, come invece prassi vorrebbe. Un errore macroscopico di cui qualcuno dovrà rispondere, che costringerà la diplomazia italiana a un surplus di lavoro per ricucire gli strappi. Oltre alla beffa, infatti, ci sono anche i danni da riparare: la notizia dell’audio è rimbalzata su tutti i siti stranieri e i suoi contenuti mettono in discussione lo standing italiano nei contesti internazionali ed europei.

Gli audio

L’audio della telefonata, infatti, contiene una lunga conversazione in inglese tra Giorgia Meloni e una voce che si è spacciata per il presidente della Commissione dell’Unione Africana.

La conversazione prosegue a tutto campo: sull’Ucraina la premier ammette di vedere «molta stanchezza, devo dire la verità, da tutte le parti. Potremmo essere vicini al momento in cui tutti capiranno che abbiamo bisogno di una via d’uscita» e, all’obiezione sul fatto che i fondi Ue vengano drenati tutti verso l’Ucraina, risponde che «il problema è trovare una soluzione che sia accettabile per entrambe le parti, senza violare il diritto internazionale. Ho alcune idee su come gestire questa situazione, ma sto aspettando il momento giusto per provare a presentare queste idee».

Poi, per fortuna, non cade nel tranello della provocazione sul nazionalismo, dicendo che «È Putin ad avere un problema di nazionalismo». Considerazioni lecite sul fronte italiano e che rispecchiano l’attuale posizionamento della premier ma che irriteranno non poco Kiev.

Meloni entra poi anche nei dettagli del problema migratorio, dicendo che «la portata di questo fenomeno colpisce, secondo me, non solo l'Unione Europea, ma anche le Nazioni Unite. Ma il problema è che agli altri non interessa. Non hanno risposto al telefono quando li ho chiamati. E sono tutti d’accordo sul fatto che l’Italia deve risolvere da sola questo problema», inoltre «la Ue dice di capire. Ma quando chiedi loro di stanziare fondi, di aiutare, diventa più difficile».

Infine, Meloni riporta a galla l’ormai storica inconciliabilità con la Francia chiedendo in via confidenziale al finto diplomatico africano se, secondo lui, il golpe in Niger fosse una mossa contro la Francia e aggiungendo che «Il loro punto di vista è diverso dal mio. Per questo diciamo loro che dobbiamo evitare situazioni che potrebbero creare più problemi di quelli che già abbiamo».

La caccia al colpevole

Al netto delle dichiarazioni di sconcerto e rabbia delle opposizioni, i contenuti della telefonata difficilmente condizioneranno la politica interna: il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari – che ha gestito le strategie di FdI in politica estera – ha detto che «Meloni su Kiev non è caduta in trappola». La dinamica dei fatti, però, apre uno squarcio inquietante sui malfunzionamenti della macchina di palazzo Chigi. Di qui lo sconcerto, sia della Farnesina che dell’intelligence, davanti a una falla così macroscopica.

La caccia al colpevole ha già dato i suoi frutti, individuando il responsabile oggettivo del disastro nel consigliere diplomatico Francesco Maria Talò. Diplomatico con 38 anni di carriera alle spalle e a pochi mesi dalla pensione, durante il governo Draghi era stato il rappresentante dell’Italia presso la NATO. La sua testa sarebbe già pronta, anche se non è chiaro se sia stato personalmente lui a cadere nel tranello dei comici russi, considerati per altro vicini al Cremlino.

Fonti diplomatiche sottolineano come l’accento del presunto presidente africano abbia evidente inflessione russofona che non poteva essere scambiata per africana. Ancora più clamoroso, quindi, sarebbe se un dettaglio così macroscopico non fosse stato colto da chi, nello staff diplomatico di Meloni, dovrebbe (almeno secondo prassi) aver seguito in viva voce la telefonata. Per sostituire Talò sarebbero già pronti due nomi: l’ambasciatore in Albania Fabrizio Bucci, che in estate ha organizzato la vacanza di Meloni nella villa di Edi Rana, e quello in Etiopia Agostino Palese.

La vicenda, grave quanto surreale, evidenzia per l’ennesima volta l’incapacità del governo di circondarsi di personale all’altezza. Il fatto che palazzo Chigi sia potuto cadere in un tranello all’apparenza così grossolano, infatti, apre interrogativi sulla permeabilità e inadeguatezza della struttura, con riverberi anche di sicurezza nazionale.

Il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, ha infatti avuto un confronto con il sottosegretario Alfredo Mantovano: «É prioritario agire affinché simili circostanze non si ripetano in futuro, consapevoli che possono essere considerate, tra le diverse ipotesi, anche come attività con fini malevoli e che quindi necessitano della massima attenzione». Che la presidente del Consiglio di un paese del G7 abbia discusso di delicatissime vicende internazionali, ignara di parlare con due comici russi, è un errore tutto interno di cui il governo dovrà assumersi la responsabilità e anche prendere contromisure.

 

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