Davanti a un pubblico dall’età media alta, il segretario e vicepremier attacca i giudici, l’Europa di von der Leyen, i «fondamentalismi che vogliono rubarci l'identità». Poi esalta il ponte sullo stretto, plaude a Meloni e concede gli immancabili selfie: «Cosa dirò ai miei figli se dovrò andare in carcere per avere fatto il mio lavoro?»
Vista dalla ruota panoramica che svetta sul canale di Cervia, la festa della Lega in Romagna sembra un’allucinazione da agosto inoltrato. Anche se il giorno d’inizio è il 31 luglio (proseguirà fino al 3 agosto). Lì dove fino a poche ore prima c’erano i banchi della frutta e della verdura che ogni giovedì mattina riempiono la piazza, adesso ha preso forma un palchetto modesto. Sopra, dietro alle poltrone che si preparano ad accogliere gli ospiti, uno schermo gigante proietta un video emozionale, con una musica che ricorda le gesta del Gladiatore, mostra Matteo Salvini che stringe mani nelle piazze d’Italia, prende il microfono, sbraita.
Proprio accanto al palchetto si alza un fumo degno di ogni festa popolare in Romagna, è quello che proviene dai camioncini dove di solito si grigliano le salsicce per le piadine. Si griglia anche alla festa della Lega a Cervia, birra e piadina sono oltre ogni colore politico. L’allucinazione d’agosto prende una forma netta quando poco distante dal palco compare il leader della Lega, porta a mano una bicicletta, la parcheggia, mette il cavalletto, qualcuno gli passa un lucchetto e così lui la chiude.
A questo punto il Capitano, che per l’occasione indossa una camicia con taglio coreano e ha messo da parte la polo blu d’ordinanza, viene accolto come una rockstar, da un popolo che di padano ha ben poco mentre ha tutto di devoto. Tante le signore, con la messa in piega appena fatta, il rossetto rosso e file di bracciali colorati lungo i polsi, che si avvicinano a Salvini e si mettono in attesa per un selfie. Lui sorride a tutte e tutti, scambia battute, chiede di andare più vicino al canale che così lo sfondo è più bello.
il solito repertorio salviniano
Dalla ruota panoramica è ben evidente il dispiegamento di forze dell’ordine: ci sono carabinieri, poliziotti con i cani, agenti della Digos che si muovono a destra e sinistra tra le macchine d’ordinanza parcheggiate un po’ dappertutto. In totale si fermano un centinaio di persone, poi ci sono i passanti, i curiosi, i turisti che cercano uno spritz. L’età media di chi è seduto nelle sedie posizionate davanti al palco è abbastanza alta, dai 60 in su, ci sono alcuni giovani ma sono una minoranza.
«I comunisti mi hanno rotto», ripete una signora tanto per il gusto di essere sentita. C’è chi sfoggia la maglietta «Salvini Premier», chi parla ancora della ruspa, e chi giura che «solo lui può salvare l’Italia». Quando Salvini sale e prende il microfono la folla inizia ad applaudire prima ancora che apra bocca, i cellulari sono tutti alzati verso di lui già in modalità video.
Pronti, si parte, il Capitano non delude: parte col repertorio, quello collaudato, che manda in visibilio la base come i tormentoni estivi mandano in tilt i lidi di Milano Marittima. «Sono entrato trenta volte in tribunale e ogni volta che entro leggo "La legge è uguale per tutti”. Se sei di sinistra però è un po' più uguale»; «Quello che non otterranno mai invece è che io mi arrenda, piuttosto mi mandino in galera che poi tanto continuo a combattere anche dalla galera», continua riferendosi al processo Open Arms, che ora va in Cassazione, il terzo grado di giudizio.
Poi il ponte sullo Stretto di Messina, le critiche all’Europa, il no ai fondamentalismi che vogliono rubarci l'identità, il plauso alla premier: «Mi fido di Giorgia Meloni, molto meno di Ursula von der Leyen, che considero una iattura per italiani ed europei».
Meno ruspe, più empatia
Nella nuova narrazione di sé stesso, Matteo Salvini smette per un attimo a Cervia i panni del condottiero per dare rilievo a quelli del padre, chiama in causa i figli quando si preoccupa di come spiegherà a loro se eventualmente dovrà trascorrere del tempo in carcere «per avere fatto il mio lavoro di ministro». Meno ruspe, più empatia (almeno a parole).
Il guerriero si fa martire, il padre si fa nazione. E il pubblico, che ama più di ogni altra cosa sentirsi dalla parte dei perseguitati, resta a lui devoto. Un signore pesca lungo il canale, indossa una maglia nera con la scritta rossa “Libertà”. Sbuffa, tantissimo. «Volevo pescare e stare tranquillo, ma stasera non si può», commenta. «Qualcuno mi deve spiegare cosa c’entra questa gente qui».
L’atto finale dalla ruota panoramica è stridente per quanto comico: Salvini è in piedi sul palco, microfono in mano, accanto a lui c'è tutta la sua gente. Parte la base e s’inizia a cantare: “Romagna mia”. La canta stonato ma convinto, sostenuto da un pubblico che senza problemi passa dal gridare «No gender» a «Romagna, Romagna mia», come se le due cose fossero parte dello stesso patrimonio identitario.
E forse da qualche parte, un vecchio militante ha sentito l’eco di quel comizio e ha sorriso amaro, pensando che in fondo, tra un burqa e un gender, la Romagna resiste, ancora.
© Riproduzione riservata



