Largo al vecchio che avanza o, comunque, resta al proprio posto. Il decreto Assunzioni è diventato un’opportunità per i pensionati ai posti di comando nella pubblica amministrazione. Altro che attenzione per i giovani. L’esito finale è comunque il frutto di una battaglia interna all’esecutivo. Alla fine l’ha spuntata Matteo Salvini, con la manina di Lorenzo Cesa, prolungando la possibilità di restare nei ruoli apicali ai dirigenti che hanno raggiunto i limiti di età lavorativa.

Sconfitta Giorgia Meloni, che appena qualche settimana fa aveva imposto l’altolà al leader leghista in nome del rinnovamento. Ora invece i dirigenti in pensione hanno ottenuto una deroga per rimanere al proprio posto fino al dicembre 2026.

Il via libera è arrivato alla Camera, nelle commissioni Affari costituzionali e lavoro. Il «personale in quiescenza», si legge nella proposta approvata, potrà continuare a occupare posizioni di comando. Tradotto dai segretari generali dei ministeri agli altri enti, comuni, regioni, fino alle realtà del mondo della sanità, come le Asl, tutto può rimanere immobile. Il testo della proposta interviene infatti sulle «direzioni di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali». La scadenza temporale poi, il 2026, non è certo casuale. Si tratta dell’anno in cui dovrà arrivare a conclusione il Pnrr. Così, con la scusa dell’urgenza di velocizzare l’attuazione del Recovery plan, i dirigenti pensionati possono dormire sonni tranquilli, proprio come aveva chiesto Salvini.

Il veto di Meloni

Agli atti c’è un serrato confronto nel Consiglio dei ministri di aprile in cui è stato discusso il decreto Assunzioni. Meloni aveva detto di comprendere l’intenzione di «trattenere in servizio persone di grande esperienza con le quali hanno costruito un rapporto di fiducia», ma considerava la mossa troppo impopolare, perché non sarebbe stata capita dagli italiani che chiedono di fare spazio ai giovani.

Da qui il diktat: «Dobbiamo fare tutti un sacrificio». Con tanti saluti alla proposta della Lega. Le parole della premier avevano trovato la sponda del sottosegretario, Alfredo Mantovano, suo braccio destro, che aveva difeso il provvedimento dal tentativo di modifica di Salvini, posizionato sulla necessità di andare avanti con profili esperti, che già conoscono i meccanismi degli apparati statali.

La partita, insomma, sembrava chiusa, con il vicepremier costretto a subire l’ennesimo colpo e Meloni che incassava un’altra vittoria. Ma tra le pieghe dei lavori alla Camera, la situazione è stata ribaltata con una norma introdotta ad hoc. E qui si inserisce un altro attore: Lorenzo Cesa, conoscitore dei meccanismi parlamentari, che vanta buoni rapporti con Mantovano. Insieme al sottosegretario, infatti, è uno degli uomini di raccordo tra il mondo vaticano e la politica.

Il leader dell’Udc ha incassato il tacito ripensamento da parte del sottosegretario in materia di pensionati nella Pa. Mantovano, a differenza di quanto accaduto in Consiglio dei ministri, ha dato il suo assenso, andando contro i desiderata della premier. I rapporti di forza si sono palesati quando il governo ha espresso il parere favorevole, attraverso la sottosegretaria ai Rapporti con il parlamento, Matilde Siracusano.

La manina di Cesa

Il tutto è avvenuto, come spesso accade, in un clima di generale distrazione. Lunedì mattina il presidente della commissione Lavoro, Walter Rizzetto (Fratelli d’Italia), ha accelerato per stringere i tempi, mentre sullo sfondo si agitava lo scontro tra il governo e la Corte dei conti sul Pnrr. L’obiettivo della maggioranza era quello di tenere il ritmo previsto con il completamento dell’esame in commissione entro la settimana e l’approdo in aula il 5 giugno.

Così sono state inanellate varie votazioni su alcuni emendamenti, tra cui quello sulla proroga ai dirigenti in pensione firmato da Cesa, ma che era stata presentato pari pari dalla Lega con la prima firma di Andrea Giaccone e la sottoscrizione, tra gli altri, dell’ex sottosegretaria Tiziana Nisini.

Insomma, i salviniani gongolano e piazzano le loro bandierine sul decreto Assunzioni. Meloni e Fratelli d’Italia sono costretti a rimangiarsi l’impegno per favorire i giovani. L’unico parziale rimedio è nello stesso provvedimento: è stato concesso uno strapuntino per favorire il loro reclutamento nella Pa. Sempre sotto l’egida degli anziani.

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