«Troveremo insieme i modi e le forme», dal palco Elly Schlein ripete la sua formula magica a proposito di diverse cose: collaborare con la minoranza sconfitta, coinvolgere la base; persino «proseguire» con il congresso costituente. La svolta radicale della nuova segretaria Pd è prudente e accorta. Chi si aspettava un passo falso dalla prima assemblea nazionale resta deluso, per ora.

L’appuntamento è a Roma, al centro congressi La Nuvola. Il sontuoso edificio progettato da Massimiliano Fuksas suscita qualche battuta sul principio di realtà della nuova leader. Ma lei procede alla sua rivoluzione con i piedi di piombo: propone la presidenza allo sconfitto Stefano Bonaccini, compone la sua direzione di nomi “nuovi” come le sardine Mattia Santori e Jasmine Cristallo, ma anche di politici di lungo corso come Goffredo Bettini e Livia Turco, e le ex sindacaliste Susanna Camusso e Annamaria Furlan. Promette «novità senza nuovismo», «un partito saldamente ancorato alla propria storia e ai propri valori, quelli della Costituzione laica, repubblicana e antifascista».

Prima del voto sulla direzione – c’è qualche incertezza su qualche nome ma ormai alla guida dell’assemblea è già insediato il solidissimo Bonaccini – tiene un discorso di un’ora e mezza, il cui core business, a parte gli attacchi al governo Meloni, è la mano tesa verso la minoranza: «Vi chiedo franchezza tra di noi e lealtà al mandato che ci hanno dato. Facciamolo insieme, caro Stefano, care tutte e cari tutti, insieme torneremo a vincere».

Schlein viene acclamata e nel discorso da leader ricapitola i temi sui quali ha vinto alle primarie: sanità pubblica (l’assemblea dedica lunghi applausi all’ex ministro della Salute Roberto Speranza, ex Art.1, neo-iscritto, e oggetto di un’inchiesta), scuola pubblica. Diritti civili e sociali «vanno insieme», dice, anche se un’ala della platea dedica un’ovazione alla proposta di riprendere la battaglia sulla legge Zan. Salario minimo, lotta alla precarietà e limite ai contratti a tempo (ma c’è già dal decreto dignità del governo gialloverde, 2018); ius soli e basta soldi alla guardia costiera libica (all’ex ministro Pd Marco Minniti fischiano le orecchie), ma da tempo il Pd non vota più quei finanziamenti.

A fine assemblea chiede un minuto di silenzio dopo l’annuncio di un nuovo naufragio nelle acque libiche. Al governo annuncia «Stiamo arrivando», «Faremo un’opposizione netta e rigorosa, ma ad ogni critica corrisponderà una proposta», e qui raccoglie una proposta dell’ ex sfidante: «Se loro hanno vinto facendo la destra a noi tocca fare la sinistra e la sinistra non può che essere ecologista, femminista e di governo». In quel «di governo» c’è forse l’unica novità. Ed è una risposta a chi, nella minoranza interna, teme che la torsione a sinistra del nuovo Pd non sia la migliore premessa per future vittorie.

Sconfitti dialoganti

Ma la novità del Pd è lei, al di là di quello che dice. È la sua vittoria ad aver cambiato i volti dell’assemblea, e a aver abbassato l’età media dei partecipanti. È lei a essersi guadagnata 10mila nuovi iscritti in una settimana. Lei, la prima segretaria del Pd, donna e femminista, chiama un applauso per Livia Turco, ex ministra, presente ed emozionata, «che mi ha insegnato la sorellanza». Ma Schlein non può, e non intende, ignorare che gli iscritti Pd ai congressi dei circoli le hanno preferito il suo sfidante.

Per questo gli offre la presidenza, scelta che l’assemblea vota a scrutinio palese (unanimità, un contrario). Schlein sa che Bonaccini è fra i più dialoganti dell’area degli sconfitti, divisa fra chi è pronto al dialogo con la vincitrice e chi crede che stia a lei la responsabilità della svolta, errori compresi. Per lei però è indispensabile la partecipazione della minoranza al nuovo corso: «Basta conflitti interni che tolgono le energie». Prima Enrico Letta, dal palco, le aveva consigliato una cosa diversa: «Ti hanno chiesto di fare le scelte che devi fare, senza andare a trattare con nessuno, con nessuna corrente. La forza dell’investitura e della legittimazione che hai, usala fino in fondo». Lei dalla prima fila sorride, annuisce, applaude. Ma in realtà tratta. Perché sa che l’unità del Pd cammina su un filo sottile: innovazione ma anche ascolto di chi non l’ha votata, soprattutto nel gruppo dirigente dei territori: quasi tutti i segretari regionali non hanno votato Schlein, era schierato con lei Bruno Astorre, segretario del Lazio che si è tolto la vita lo scorso 3 marzo a cui l’assemblea riserva due lunghissimi applausi.

Che faccia molto bene a proporre la presidenza a Bonaccini si capisce dagli applausi che scatena lo sconfitto. A suo agio nel nuovo ruolo, pronuncia un discorso fortissimo: se lei enuncia principi generali, lui parla concreto: «Dobbiamo mandare a casa questa destra inadeguata, le cui misure le stanno pagando i più deboli. Una destra che mette la flat tax piuttosto che tagliare il costo del lavoro». Alla segretaria: «Ci mettiamo a disposizione per dare una mano. Ho accettato questo ruolo con questo spirito, il Pd è casa mia, questa è la mia comunità, non mi sento in minoranza o all’opposizione, il successo di questo partito mi e ci riguarda tutti allo stesso modo». Se davvero la collaborazione ci sarà fino in fondo, si capirà la prossima settimana quando verrà nominata la nuova segreteria e i nuovi capigruppo. Per il momento i due vicepresidenti di sono di area Schlein, la deputata Chiara Gribaudo e la consigliera regionale pugliese Loredana Capone. E anche il nuovo tesoriere Michele Fina, vicino a Andrea Orlando.

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