La preghiera nazionale per Mario Draghi apre una breccia nell’intenzione – fino a domenica ferma – di tornare a rassegnare le sue dimissioni nelle mani di Sergio Mattarella mercoledì prossimo, dopo le comunicazioni alle camere. Alla valanga trasversale dei sindaci, ormai più di mille, ieri si è aggiunto l’appello delle associazioni del terzo settore. Anche dalla Lega qualche voce di «stima» per il premier si fa sentire. E si tratta di voci che pesano come quella di Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli e della conferenza stato regioni, dei presidente della Lombardia Attilio Fontana e del Veneto Luca Zaia, che al pari dei colleghi di centrosinistra sono molto preoccupati del rischio di ritardi nell’attuazione del Pnrr.


La regia del Colle

Ma non si tratta solo di invocazioni che dal paese si alzano verso palazzo Chigi, che comunque non dispiaceranno a Draghi. Nel giorno in cui il premier dall’Algeria annuncia «una accelerazione» degli accordi sul gas, sembra disegnarsi una manovra a tenaglia che ha l’altro suo movimento dentro il palazzo. Il “fatto nuovo” arriva da Montecitorio. Ieri, alla riunione dei capigruppo, Pd e M5s hanno chiesto di votare la fiducia a Draghi, e di farlo parlare prima alla camera e poi al senato. Richiesta respinta, la seconda. Ma alla ripresa dell’assemblea dei gruppi M5s la mossa provoca un processo al capogruppo grillino Davide Crippa. Giuseppe Conte lamenta di non essere stato informato.

L’idea del capogruppo, anche se non va in buca, è un segnale: a Montecitorio ci sarebbe – con i grillini il condizionale è sempre d’obbligo - un drappello di deputati pronto a votare sì a Draghi, sempreché mercoledì si voti davvero. Presto dovrebbero rendere pubblico il dissenso dalla linea Conte. Al senato i dissidenti sono molti meno. Ma la notizia anticipata dell’intenzione di votare la fiducia al premier dovrebbe convincere Draghi ad accettare un nuovo voto. Il ruolo Conte, ormai a capo dei pro opposizione, in realtà già balla: deve incassare lo «sconforto» di Beppe Grillo, riferito dall’Agi: all’ex comico, taciturno da giorni, non sarebbe piaciuta «l’eccessiva personalizzazione» dello scontro con Draghi.

Non un Draghi bis, o quasi

Potrebbe dunque procedere la strategia del Pd: «Riportare i Cinque stelle in maggioranza. Tutti o in parte», era l’intento di Enrico Letta, che stasera riunisce i suoi gruppi parlamentari. Obiettivo, far andare avanti il governo. Non sarebbe un «Draghi bis», spiegano dal Nazareno. Non si terrebbero le consultazioni, anche la squadra di governo nella sostanza resterebbe la stessa: vengono messe in conto le dimissioni di un solo ministro, quello dell’agricoltura Stefano Patuanelli. Si riproporrebbero, è il ragionamento che si fa al Nazareno, le condizioni in cui si è trovato proprio Letta nel 2013, dopo la scissione di Angelino Alfano dal Pdl e l’uscita dalla maggioranza della ancora non rinata Forza Italia: anche all’epoca non ci fu il «Letta bis». Resta il fatto che il Pd comincia anche a preparare il voto, anche se non è «la prima opzione, che resta la continuità del governo Draghi. C’è una richiesta di serietà fortissima che viene dal Paese: niente salti nel buio». Lo sforzo diplomatico e la pressione sui Cinque stelle resta «fortissima». Ieri, la mattina nella sede Pd si sono svolte le riunioni organizzative sulla campagna elettorale, e nel pomeriggio una riunione con i segretari regionali.

Dietro l’accerchiamento del premier si indovina una felpata regia del Colle. L’iniziale drammatizzazione sul voto anticipato ha messo in movimento tutti i partiti. Tutti tranne Fratelli d’Italia, che spinge per il voto, e per non vedere sfumare la possibilità concreta di una vittoria, con l’asse giallorosso ormai rotto.

I guai di Salvini

Da Algeri non arriva nessuna conferma. Da Roma invece arrivano segnali contrastanti: da una parte filtra che il presidente resta dell’avviso di non accettare un voto di fiducia: nel suo discorso annuncerebbe le dimissioni stavolta irrevocabili. Da altre fonti viene ammesso che «qualcosa si muove».

Letta, che ha lavorato alla divisione dei Cinque stelle sperando di recuperare anche Conte, si muove con grande attenzione. Per questo il Pd non ha partecipato alle iniziative per il Draghi bis indette ieri pomeriggio a Roma e Milano da Italia viva, Azione e Più Europa: per non “politicizzare”, è la spiegazione, la difficile scelta di Draghi. Ma il Pd sostiene l’iniziativa delle associazioni, «l’universo di riferimento delle Agorà».

Se tutta la complicata trama si componesse, nei guai finirebbe la destra di governo: qui invece la mossa a tenaglia è quella di Silvio Berlusconi su Matteo Salvini. L’anziano leader ieri è arrivato a Roma poco prima che Salvini entrasse nella riunione dei gruppi insistendo sul «mai più al governo con i Cinque stelle». Ma Antonio Tajani, il coordinatore nazionale di Forza Italia, aveva già aggiustato un po’ il tiro: «La soluzione è un governo Draghi senza Conte, oppure elezioni».

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