Per la prima volta nella storia, si celebra la Giornata degli Internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Con una legge approvata all’inizio dell’anno, si è deciso che ogni 20 settembre, data simbolica per tutti i prigionieri italiani diventati IMI, militari italiani internati, si commemorerà la loro storia, il loro sacrificio e la loro Resistenza spesso poco conosciuta.

L’impegno per il loro ricordo è stato risaltato dallo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso tenuto il 19 settembre, al Quirinale, in occasione della cerimonia dedicata a questa importante giornata: «I militari, abbandonati a loro stessi dopo l’8 settembre, che difesero l’onore della patria rifiutando l’arruolamento nell’esercito tedesco o in quello di Salò sapevano di compiere una scelta di grave rischio sul piano personale. Tanti – ripeto - pagarono con la vita. Tanti morirono nei lager tedeschi. Tutti patirono sofferenze immani vivendo in condizioni di sostanziale schiavitù per un anno e mezzo. Sofferenze e ferite non cancellabili. La libertà di cui oggi ci gioviamo ha un debito verso il coraggio di questi uomini. Anche loro, con il loro rifiuto, furono dei veri "patrioti"».

Dove ha inizio questa storia

È un periodo storico poco studiato quello trascorso tra la caduta del fascismo e l’annuncio dell’armistizio da parte di Badoglio, a capo del nuovo governo. Eppure, è proprio quanto architettato dal potere nazista tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943 a determinare il destino di circa 749mila italiani. Vista l’intuizione di una prossima uscita dell’Italia dalla guerra, dopo l’arresto di Mussolini, Hitler non si fece cogliere impreparato e mise in atto due piani distinti a proprio favore: venne perfezionato il piano Achse, un piano militare che prevedeva il disarmo completo dell’esercito ufficiale italiano e l’acquisizione delle armi e dell’equipaggiamento nella penisola e nei territori ancora occupati dall’Italia. E venne messa in atto l’operazione Alarico, principalmente un piano propagandistico, atto a giustificare la riuscita dell'operazione come una brillante manovra difensiva contro il tradimento italiano.

La lettera di uno dei militari italiani internati

Nonostante il nuovo governo avesse ribadito che nulla sarebbe cambiato nelle direttive del reparto bellico, i tedeschi avevano già inviato forti contingenti di truppe per prevenire l’ormai prevedibile defezione. Dopo la proclamazione dell’armistizio, le truppe italiane, rimaste senza ordini chiari, furono rapidamente sopraffatte e catturate dalle SS. Non mancarono episodi di coraggiosa resistenza e di spietate repressioni.

Il 20 settembre 1943

Il piano Achse passò così alla sua fase successiva e circa 749mila italiani furono catturati e deportati nei “Durchsganglager”, i campi di transito, dove fu chiesto loro se volessero continuare a combattere per Hitler, e quindi arruolarsi nell’esercito nazista alleato con la neocostituita Repubblica sociale italiana, oppure finire ai lavori forzati.

Furono 650mila gli italiani che si opposero al nazifascismo, preferendo essere internati per il lavoro coatto. E così, il 20 settembre 1943, vista la necessità di manodopera per la Wehrmacht, Hitler cambiò il loro status di prigionieri di guerra in Internati Militari Italiani (IMI), una condizione priva di qualsiasi protezione giuridica e umanitaria.

Non essendo considerato prigioniero di guerra, il militare italiano internato veniva usato per la manodopera e senza poter beneficiare delle tutele garantite dalla convenzione di Ginevra, come la possibilità di ricevere cure mediche. La loro definizione come “IMI” fu una finzione giuridica che impedì alla Croce Rossa Internazionale di intervenire, mentre la propaganda tedesca li etichettava come traditori e li obbligava a vivere in condizioni disumane negli Stalag, i campi di concentramento in cui gran parte furono rinchiusi, perdendo la loro identità per diventare un semplice numero.

La fame, le malattie, il freddo e l’assenza di igiene li resero una delle categorie di prigionieri più deboli, con tassi di mortalità elevati. Solo a partire dal luglio del 1944, fu concesso il passaggio di status da militari internati a “liberi lavoratori” Arbeitswillige. La trasformazione avvenne senza interruzione del lavoro e in modo anche violento. Per qualcuno le condizioni di vita migliorarono leggermente, mentre i primi Stalag venivano liberati. Nonostante questo, per molti di loro il ritorno a casa avvenne solo nel 1945 e non mancarono casi di ritorno negli anni ancora successivi. Saranno molti gli IMI che, una volta rimpatriati, non vorranno parlare, per non ricordare a voce alta quanto vissuto.

A ottant’anni dalla fine della seconda guerra Mondiale, l’istituzione di una giornata pensata per commemorare gli IMI dà finalmente la possibilità di diffondere la loro storia, rimasta a lungo ai margini della memoria collettiva.

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