Un estratto del libro “Compagne”, la raccolta di testimonianze di donne che hanno partecipato alla Resistenza curata nel 1977 da Bianca Guidetti Serra e di recente riportata in libreria da Einaudi
Pubblichiamo un estratto di Compagne, la raccolta di testimonianze di donne che hanno partecipato alla Resistenza curata nel 1977 da Bianca Guidetti Serra e di recente riportata in libreria da Einaudi, con la prefazione di Benedetta Tobagi. Questa è la storia di Giuseppina Scotti.
Sono nata a Torino nelle soffitte di via Cernaia 30. Mio padre era fonditore, ma era costantemente licenziato da una fabbrica e dall’altra perché era un organizzatore sindacale. Lo stesso succedeva a mia madre che era una «tessile» e che ha lavorato in tanti posti. Da Wild, a Luserna, Pralafera e non ricordo quali altri posti. Mia mamma si vantava di aver fondato la lega tessile a Torino; allora parlare di sindacato, parlare di partito, era parlare… Io sono cresciuta in quell’ambiente lí. Papà ha partecipato al congresso di Genova del 1892.
Papà e mamma insieme hanno partecipato alla fondazione della Cgil e infatti la fotografia che abbiamo mandato alla Cgil, per la fondazione, mostra papà e mamma a Milano, nel 1906. Sono nata, diciamo, nell’ambiente.
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Dunque io ho incominciato a lavorare a quattordici anni, quattordici anni e mezzo. Prima ho finito la scuola e poi mi sono impiegata e gli zii mi hanno ancora fatto finire la terza tecnica. Il primo impiego sono stata commessa in un negozio per qualche mese. (...) Nel ’28, ’29 ho trovato lavoro come impiegata e all’inizio del
’29 mi sono presentata alla Banca Agricola e mi hanno assunta. Ma la «politica» è venuta in banca ad avvertire che ero di una famiglia «sovversiva». Io in banca ero in direzione dove c’era Venesio e ha detto: «Ma noi l’abbiamo assunta come dattilografa e non per altri lavori, quinche se avremo noie saremo noi i primi a denunziare la cosa e ad allontanarla».
In realtà, quando quei là se ne sono andati, mi hanno catechizzato un po’ dicendomi che ero libera di fare quello che volevo, ma però fuori dell’ambiente di lavoro… e tutto è finito lí. Intanto mio papà era morto e avevano vietato i funerali a Savona perché dicevano che i funerali di Giuseppe Scotti, a Torino, erano stati una manifestazione di antifascismo. Poi mi sono sposata… Mio marito aveva lavorato un periodo di tempo alla Fiat. Successivamente, però, quando lo ho conosciuto, aveva già un laboratorio artigiano per conto proprio; lavori da idraulico, elettricista, impianti elettrici.
… Poi siamo andati avanti io e mio marito, ormai non c’era piú possibilità di parlare di politica o di svolgere dell’attività, però, come t’ho detto, mantenevamo i rapporti con quei pochi che si poteva. Maggiormente con quelli di Savona perché eravamo piú legati. Dopo l’8 settembre, nei primi mesi ho avuto contatti con i Gruppi
di difesa. Inizialmente il primo incontro l’ho fatto con la Ada Gobetti; dove l’abbia fatto non lo so, come non so quando sia avvenuto; però noi a dicembre del ’43 ci siamo trovati in casa di Medea Molinari e c’era anche Ada Gobetti, poi c’era anche un’altra compagna… la Lucia Santhià.
La partecipazione delle cattoliche me la ricordo nel secondo semestre ’44. Ci siamo trovate in casa dell’Anna Rosa, quindi era già parecchio tempo che ci frequentavamo. Come Gruppi di difesa provvedevamo alla ricerca dei viveri, procurarci il pane, i tagliandi e tutte quelle robe lí. Poi mi ricordo che c’era anche Mila Montalenti e facevamo i pacchi per il carcere, mandavamo Lucianina… be’, Lucianina il nome di battaglia, il cognome Argano ora è sposata Scalmani, che allora era giovanissima, aveva diciassette anni; la mandavamo alle carceri, a portare i pacchi per i detenuti. Questa attività dei pacchi però è cominciata nella primavera del ’44.
Già prima avevamo provveduto, ma non so se eravamo andati come Gruppi di difesa. Come partito nel dicembre del ’43 avevamo aperto una sottoscrizione per il «Natale rosso» ai partigiani e ai detenuti. Non mi pare che fosse un’iniziativa unitaria perché ricordo il particolare che l’inizio di quell’attività lí, confluita nell’attività comune, è sta-ta deliberata in una riunione a casa mia del nostro direttivo, dove erano presenti Passoni, Amedeo, Chiaramello… C’era diciamo tutto il gruppo, tutto il vertice del partito era lí ed avevano convocato anche noi donne ed i giovani proprio per l’organizzazione di quel lavoro e per decidere l’adesione, ecco, l’adesione ai Gruppi di difesa… La preparazione di questo Natale… questo però l’avevamo fatto come partito. L’adesione a questa iniziativa unitaria si decise in quella riunione di partito della quale però non ti so dire i particolari perché essendo la padrona di casa avevo il dovere di andare ad aprire la porta e vigilare, ecc. ecc.
Delle manifestazioni con i Gruppi di difesa mi ricordo quando c’è stata la manifestazione davanti alla Venchi Unica… che dev’essere avvenuta nel dicembre del ’44. Era stata una manifestazione preparata bene. Perché mentre noi mancavamo di tutto, pane e zucchero in maniera particolare per i bambini, alla Venchi Unica si preparavano i panettoni per i tedeschi. Direi che è stato quasi facile con quella parola lí muovere le donne a venire.
Sono stati distribuiti dei volantini capillarmente nelle fabbriche attraverso delle compagne che sapevano dell’iniziativa e che ci appoggiavano. Poi anche davanti alla Venchi Unica sono stati distribuiti volantini. Successivamente quel giorno lí ci siamo trovati presto… un quarto alle otto, davanti alla fabbrica, eravamo
qualche centinaio. Ci siamo ammucchiate davanti agli ingressi, reclamando a voce, gridando: – Vogliamo pane per i bambini, vogliamo zucchero per i bambini!
Sono intervenuti i tedeschi, che erano di presidio alla fabbrica, ci hanno fatto allontanare. Qualcuno è entrato ma non so se è stato ricevuto dalla direzione o meno, noi non siamo entrati. Per me era fine novembre o ai primi di dicembre del ’44, perché c’era il riferimento ai panettoni quindi non poteva essere diversamente. Poi ricordo che faceva molto freddo, anche questo; sí, sí, era un periodo invernale. Altre manifestazioni di piazza non me le ricordo, mi ricordo quello che facevamo per arrivare alle carceri a portare le valige di pane, i pacchi e a ritirare la biancheria da lavare. In quell’epoca lí la collaborazione di suor Giuseppina ci è servita…
Vedi, nelle code non potevi gridare, ma in cambio facevi la propaganda capillare perché se sentivi qualcuno che diceva: – Che vitaccia! – Rispondevi: – Va ben, in fondo ce la siamo voluti, lo abbiamo sopportato, è ora di scuoterci –. Cosí, a bassa voce, perché non potevi certamente gridare e quando qualcuno alzava la voce lo si aiutava: «Sarebbe ora che finisse», «Abbiamo fame», «Di notte non si dorme, di giorno non si mangia», «Dove andremo a finire». Però non potevano essere organizzate le manifestazioni di code anche perché ce n’erano dappertutto, le organizzavi standoci dentro, non organizzandole da fuori.
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A casa mia avevamo iniziato, prima come partito poi allargata come Gruppi di difesa perché ha compreso molte donne lí del borgo Crimea e non, un corso di pronto soccorso infermieristico. Ci faceva le lezioni… come si chiamava, noi lo chiamavamo Claudio come nome di battaglia… adesso è medico condotto in un paese vicino a Caluso, nel Canavese… Marsilli, si chiamava Felice Marsilli. Dunque abbiamo iniziato a fare, a tenere a casa mia le lezioni di pronto soccorso. Lui ci teneva la lezione vera e propria e poi noi tiravamo delle dispense per distribuirle a quelle che lo frequentavano.
Quando siamo arrivate a quaranta a casa mia non ci si stava piú, allora una Dc che aveva avuto il fratello ucciso in quei giorni lí dai fascisti si è interessata di parlare con le Fedeli Compagne di Gesú di via Lanfranchi. Dopo pochi giorni le Fedeli Compagne di Gesú ce l’avevano permesso ed andavamo nella sacrestia della loro cappella dove stavamo in molti e le lezioni si svolgevano lí; anche dalle altre parti di Torino venivano. È stato un corso che è durato sino al febbraio del ’45, è durato per un tre mesi credo. Era
sempre clandestino, con la suor Serafina che faceva guardia nella sala precedente, perché qualunque cosa fosse accaduta noi avevamo un libro davanti e lei ci dava lezioni di francese.
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Lo sciopero generale insurrezionale è stato il piú bello sciopero che c’è stato, vero? Come partito, come socialisti, abbiamo avuto alla vigilia una riunione preparatoria alla Fiat Lingotto nella sala del consiglio Fiat e lí c’eravamo tutti. La riunione era presieduta da Morandi. La parola d’ordine è stata «domani mattina tutti pronti alle otto». Quando siamo uscite dalla Lingotto una parte di noi era andata alla riunione di partito, una parte era andata alla riunione dei Gruppi di difesa; abbiamo preso accordi per il giorno successivo. È stato il giorno piú entusiasmante che abbiamo avuto.
Ero sul 14, sul tram n. 14; partiva da corso Moncalieri e quando era sul corso Vittorio girava in via XX Settembre. L’ordine di sciopero partiva dalle dieci cioè dalla prova delle sirene; alle dieci si doveva fermare la città. Io ricordo che quando abbiamo girato sotto i portici di via XX Settembre, allora c’erano ancora quelle vecchie vetture, il manovratore ha portato la vettura fuori dai portici, davanti dove c’era la confetteria Maggiora, si è girato, ci ha guardato tutti in faccia ed ha incrociato le braccia: – I signori passeggeri sono invitati a scendere: inizia lo sciopero generale.
È stata una cosa… non so gli altri che effetto ha fatto, io non potevo espormi al rischio perché andavo in una fabbrica di via Urbino dove dovevo portare degli ordini, ma indubbiamente il primo istinto è stato quello di mettergli le braccia al collo. Non di saperlo. Tutti i tram fermi; nel pomeriggio hanno messo i giovani fascisti a guidare tram, ma un po’ per paura ed un po’ per boicottaggio nessuno saliva, giravano i tram vuoti; è stata veramente una cosa che ci ha dato la fiducia nell’insurrezione, la prova generale è stata… Nei giorni dell’insurrezione noi eravamo al comando delle formazioni Matteotti.
Come Gruppi di difesa non ho piú dato attività, in quei momenti lí, eravamo al comando nostro, la nostra sede di comando era alle concerie Fiorio e poi avevamo un comando distaccato nella tabaccheria di via Cibrario 75 da Bassi. Io ho dato attività per tutto il giorno 26; mi ricordo che il concentramento nostro era stato la chiesa dei Santi Martiri, per le sei e mezza perché il coprifuoco finiva dalle sei. Siamo andati giú ed eravamo tutti in bicicletta. Il primo segno dell’insurrezione l’abbiamo avuto in piazza Statuto, perché all’angolo di piazza Statuto e corso Principe Oddone c’era un tram rovesciato, mentre il primo morto lo abbiamo visto pochi minuti dopo, in via Cibrario… Poco prima dell’ospedale Maria Vittoria c’era una vecchia gelateria, Chiavacci, mi pare fosse al 42 e lí davanti abbiamo visto il primo morto, in una pozza di sangue.
Piovigginava quel giorno lí, quindi la macchia si allargava. Raggiunto il comando abbiamo cominciato a fare il lavoro di staffette, lavoro di collegamento che io purtroppo ho smesso la sera del 27. Perché la sera del 27 siamo partiti a portare l’ultimo ordine e poi volevamo avvicinarsi al corso Moncalieri e invece i ponti erano
tutti bloccati, eravamo l’Amedea ed io. Abbiamo pernottato in casa di un compagno in via Artisti, un vecchio compagno tipografo che era stato perseguitato ed era uscito di carcere pochi giorni prima. Il mattino successivo siamo partite io e l’Amedea e quando siamo arrivate a casa ho trovato mio marito come l’ho trovato, di conseguenza…
L’hanno ucciso il mattino del 27… L’ho saputo il mattino del 28… Sono arrivata a casa e non ho piú trovato la bambina perché l’avevano già portata via; il giorno prima era stata a casa di Mila Montalenti e poi la sera, visto che io non ero rientrata, l’hanno portata in casa di amici. L’hanno ucciso dalla «propaganda Staeffel», in corso Moncalieri. C’erano le vedette della «propaganda».
I ragazzi venivano giú da via Mentana… Da corso Giovanni Lanza c’erano i tedeschi che arrivavano perché volevano prenderli alle spalle. Mio marito è salito per mettere una mitragliatrice verso il passaggio obbligato di corso Giovanni Lanza… Come è uscito dalla soffitta, ché ha dovuto uscire da una soffitta per raggiungere il posto adatto, dalla «propaganda Staeffel» gli hanno sparato… È morto in pieno combattimento. L’hanno seppellito il 30 aprile.
Il 2 maggio sono passata dalla federazione che allora era in piazza Castello 51. Ho trovato Montermini che mi ha detto che avevano costituito la I sezione di partito dedicandola a Carlo Valsasna. E poi Amedeo mi ha detto: – E adesso cosa fai? – Io ho detto: – Debbo lavorare, ho una bambina da allevare, – e allora lui: – Il tuo posto è qui. Da allora ho sempre lavorato alla federazione provinciale del Psi. Soprattutto ho diretto l’attività assistenziale. Attività di partito, ma tutta particolare. Ho sempre partecipato a tutte le campagne elettorali… Ho sempre raccolto i pezzi… quando il partito si spaccava…
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