Attualmente è possibile firmare per ben quattro referendum: quello sulla giustizia; per l’eutanasia legale; per l’abolizione della caccia e per la legalizzazione della cannabis. L’enfasi di questi giorni è dovuta al boom della raccolta firme, grazie soprattutto all’emendamento approvato a fine luglio che permette la sottoscrizione attraverso firma digitale con lo Spid (il sistema pubblico di identità digitale) e che ha permesso all’ultimo presentato – il referendum sulla cannabis – di raggiungere 420 mila firme in quattro giorni. Ad oggi, dunque, sembra che in Italia si stia aprendo una nuova grande stagione referendaria. Lo strumento ha due facce.

La democrazia diretta

L’istituto del referendum, previsto dall’articolo 75 della Costituzione, permette di sottoporre agli elettori l’abrogazione totale o parziale di una o più norme di legge, grazie all’iniziativa di 500 mila firme o di cinque consigli regionali.

In Italia la stagione referendaria più feconda è stata quella a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, in cui lo strumento – utilizzato in particolare dai radicali – ha prodotto una grande mobilitazione sociale, con una partecipazione al voto che ha toccato il picco dell’87 per cento nel caso del referendum sul divorzio. Sulla spinta dei referendum si è mossa e polarizzata la maggior parte dell’opinione pubblica, dettando l’agenda politica in modo determinante.

Negli anni Duemila, invece, la parabola è stata contraria: a fronte di un grande numero di referendum promossi, la partecipazione è drasticamente calata sotto il quorum e nessuno dei 24 quesiti proposti tra il 1997 e il 2009 hanno superato il 30 per cento dei votanti, con l’unica eccezione dell referendum sull’acqua pubblica del 2011.

Parametrato sull’oggi, anche in questo contesto va inserito il successo della raccolta firme di questi giorni. «Sarei cauto nell’interpretarlo con categorie concettuali troppo generali, parlando di risveglio della società civile», spiega il professor Antonio Floridia, che dirige l’Osservatorio elettorale e il settore “Politiche per la partecipazione” della Regione Toscana ed è stato presidente della Società italiana studi elettorali. «Si tratta certamente di alcune centinaia di migliaia di persone consapevoli e attente ai diritti civili, ma non so quanto questo si possa considerare un movimento di massa». Per il successo dei quesiti - quando e se i referendum arriveranno a venire indetti – infatti, si dovrà valutare innanzitutto il conteso politico in cui avverrà il voto e se si creerà una forte polarizzazione politica sui singoli temi.

La carica civile, inoltre, difficilmente si traduce in termini politici e anzi «i referendum sono il sintomo che la società italiana e la sua cultura politica sono molto frammentate, perchè in questo caso si tratta di movimenti di minoranza, di nicchie particolarmente attive». 

L’azzardo

I referedum, inoltre, provocano un altro effetto indiretto sui temi che ne sono oggetto. Dal punto di vista tecnico, il referendum abrogativo punta a intervenire, modificandola, su una legge ordinaria. Nulla vieterebbe, allora, che in un momento successivo il parlamento intervenga sulla stessa legge modificandola di nuovo in modo assolutamente legittimo. Questo, tuttavia, storicamente non è mai avvenuto: i referendum, infatti, generano nel sistema politico una sorta di cogenza implicita. In pratica: se un tema è oggetto di referendum e gli elettori si sono espressi, bocciando o accogliendo il quesito, poi quello stesso argomento diventa intoccabile: nessun partito politico si azzarderà a tornarci sopra, pur potendo, andando contro la volontà popolare.

Questo effetto può essere controproducente per gli stessi promotori del referendum, che da un lato hanno ottenuto il successo della raccolta firme – che impegna una minoranza attiva dell’elettorato – ma poi si sono scontrati con una volontà collettiva di segno diverso che porta al non raggiungimento del quorum oppure a un risultato opposto a quello desiderato.

Tuttavia, riflette Floridia, «da parte di chi promuove il referendum c’è un retropensiero implicito: la poca fiducia nella politica parlamentare fa aumentare l’interesse per le cosiddette “single issue”, la mobilitazione intorno a singoli temi». Di più, oggi la politica si farebbe soprattutto così, incidendo su singole questioni polarizzanti: «Il senso del referendum è creare mobilitazione, a prescindere dall’esito e dunque del raggiungimento o meno del quorum».

In ogni caso, il referendum è un gioco pericoloso. Puntare su un singolo tema portato all’attenzione collettiva da parte di una minoranza attiva può far vincere l’azzardo, con la modifica di una legge bypassando le lungaggini parlamentari e gli interessi dei partiti. Al contrario, se l’esito è negativo si induce la politica a disinteressarsi del tema oggetto del referendum.

L’interrogativo, ora, è come la possibilità di utilizzare la firma digitale incida: se fino ad oggi la mobilitazione per la raccolta firme doveva essere fisica e capillare e dunque con alle spalle partiti o associazioni organizzati, oggi il nuovo strumento permette di superare tutto questo e di ottenere – grazie a campagne condotte anche solo esclusivamente sul web – una mobilitazione sufficiente a raccogliere le 500 mila firme necessarie. Il risultato, allora, potrebbe anche essere quello di un aumento esponenziale del numero di referendum proposti, molto sostenuti da minoranze qualificate nella raccolta firme, ma che poi si scontrerebbero con la necessità di consenso trasversale indispensabile per raggiungere il quorum al momento del voto vero e proprio.

 

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