L’ultimo referendum in ordine di tempo è quello per la legalizzazione della cannabis per uso personale, nei mesi scorsi invece si sono raccolte le firme per l’eutanasia legale e per la “giustizia giusta” che comprende anche la separazione delle carriere tra giudici e pm ed è sostenuto anche dalla Lega. Tre questioni referendarie di peso, che hanno registrato un exploit di firme. Ne servono 500 mila entro il 30 settembre per essere presentati al vaglio di ammissibilità davanti alla Corte costituzionale: quello sulla giustizia dovrebbe aver superato le 700mila, quello sull’eutanasia viaggia verso il milione e quello sulla cannabis ha raggiunto il risultato record di 330 mila in soli tre giorni.

Il risultato è quasi insperato e soprattutto smentisce uno degli assunti del referendum sulla “giustizia giusta”: che per il raggiungimento delle firme necessarie sarebbe stato determinante l’apporto strutturale della Lega, con i suoi volontari e banchetti organizzati nelle piazze a dare man forte ai radicali.

Invece il referendum sull’eutanasia legale che è promosso solo dai radicali ma soprattutto dalle associazioni, in testa l’associazione Luca Coscioni, ha già raccolto più sottoscrizioni e quello sulla cannabis, pur partendo in netto ritardo (la raccolta è cominciata l’11 settembre, gli altri due hanno iniziato il 1 luglio), ha superato ogni più rosea aspettativa.

A permettere un tale risultato è stata una legge passata quasi in sordina a fine luglio, all’interno del dl Semplificazioni e che permette che le firme valide vengano raccolte non solo personalmente con i famosi “banchetti” agli angoli di strada, con volontari e autenticatori che si danno il cambio, ma anche attraverso lo Spid direttamente sul sito internet accreditato che promuove la raccolta di sottoscrizioni.

Cosa è lo Spid

Lo Spid, il sistema pubblico di identità digitale, è uno strumento informatico che ha preso piede grazie alla pandemia: è il sistema unico di accesso con identità digitale ai servizi online della pubblica amministrazione italiana e dei privati che aderiscono e permette a cittadini e imprese di accedervi in modo telematico. Per ottenerlo ci si deve rivolgere gratuitamente ad alcuni gestori accreditati – uno di questi, per esempio, è Poste italiane – e fornire i dati del codice fiscale, di un documento di identità e recarsi fisicamente a uno sportello oppure utilizzare la webcam per essere “riconosciuti”. In questo modo si generano un profilo utente e una password univoca, che permettono l’accesso a molti servizi pubblici: due su tutti, scaricare il proprio green pass e, lo scorso anno, iscriversi al servizio di cashback.

L’attivazione dei profili digitali ha visto un’impennata nell’ultimo anno: dai 5,6 milioni di gennaio 2020 ai 24 milioni di agosto 2021. Considerando che in Italia i maggiorenni con diritto di voto sono circa 49 milioni, i possessori di Spid sono il 49 per cento dei votanti.

La sottoscrizione dei quesiti referendari in modo digitale attraverso lo Spid ha eliminato alcune delle principali difficoltà burocratiche che di fatto rendevano molto macchinosa la promozione di un referendum. Le firme digitali sono certe, dunque non serve un autenticatore che le le garantisca come avviene nei banchetti fisici. Non esiste il rischio che vengano invalidate, che è storicamente la ragione per la quale i promotori cercano sempre di averne molte più delle 500 mila necessarie. Inoltre, si annulla la necessità organizzativa di volontari che allestiscano la raccolta in modo il più possibile capillare nelle città. Certo, la necessità di un supporto di persone fisiche rimane, per far sapere che è in corso la raccolta firme e sensibilizzare l’opinione pubblica, ma è possibile ridurre di molto gli incombenti burocratici.

Lo Spid, inoltre, sta avvicinando a un istituto democratico considerato novecentesco come il referendum una nuova generazione di maggiorenni, molto a loro agio con le nuove tecnologie e sensibili ai diritti civili, più facilmente intercettabili con campagne mediatiche promosse via social e sul web che con i tradizionali volantinaggi.

La burocrazia

Tuttavia la burocrazia non è totalmente annullata ed è per questa ragione che i promotori del referendum sulla cannabis hanno chiesto una deroga al 30 di ottobre per la presentazione delle firme. Perché queste siano ammissibili (sia che siano cartacee che via Spid) i promotori devono recuperare i certificati elettorali di tutti i firmatari, operazione che richiede un’organizzazione non indifferente. Per questo le associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Società della Ragione e Antigone chiedono la proroga, «così da evitare a un ritorno agli irragionevoli ostacoli al godimento dei diritti civili».

Il referendum sulla cannabis, inoltre, rischia un altro impedimento concreto: alla Camera, infatti, è stato approvato in commissione Giustizia il testo base sulla cannabis, che modifica gli articoli 73 e 75 del testo unico 309/1990. Gli stessi che il referendum vorrebbe in parte abrogare. Risultato: se la legge venisse approvata prima, il referendum diventerebbe inammissibile. I promotori sarebbero comunque soddisfatti però: perché l’esito delle modifiche andrebbe nella stessa direzione di depenalizzare la coltivazione per uso personale. 

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