Bloccato. Rinviato. Impantanato. Per individuare la definizione migliore si può dare sfogo alla fantasia, ma c’è una verità scolpita negli atti parlamentari: il disegno di legge sulla Sicurezza, il famoso “pacchetto sicurezza”, firmato e illustrato dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è ancora “a carissimo amico”, per usare un’espressione romanesca, stile molto caro a Giorgia Meloni. Insomma, è alle primissime battute dell’iter alla Camera.

Ha infatti mosso giusto qualche passo e giace nella to do list delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia, dove è stato incardinato il 22 gennaio con l’indicazione di ben quattro relatori, uno per ogni gruppo di maggioranza, tra cui spicca Augusta Montaruli di Fratelli d’Italia, pretoriana della premier alla Camera. La Lega di Matteo Salvini ha puntato su Ingrid Bisa, altro profilo vicinissimo al leader. Segnale di voglia di accelerare? Macché L’esame preliminare è datato 27 febbraio. Oltre tre mesi e mezzo dopo il via libera a palazzo Chigi.

Poi da lì è finito nuovamente tutto avvolto nelle nebbie di Montecitorio. All’orizzonte non si scorge nemmeno l’avvio del ciclo di audizioni, che indica la progressione dell’iter di un provvedimento. Per un intervento normativo così complesso si dovrà peraltro mettere in conto un intenso lavoro di audizione degli attori interessati. Il contenuto è molto divisivo, gli esperti lo hanno criticato già dopo la pubblicazione del testo. Ci sarà da ascoltare.

Questioni di priorità

Ma qual è il motivo dello stop? Dalla maggioranza, a microfoni spenti, arriva un’ammissione: «Ci sono altre priorità». In effetti il calendario dei lavori è ingolfato e non si trova nemmeno un angolino per uno dei provvedimenti bandiera del governo. Almeno sulla carta. Ed è una conferma, l’ennesima, che il pacchetto sicurezza non era affatto una priorità, smontando la narrazione di Meloni e di Salvini, con sponda del Viminale, che sul punto rivaleggiano. L’operazione serviva a lanciare un’iniziativa spot, per confezionare l’immagine di un governo attento alla sicurezza. La più tipica delle armi di distrazioni di massa.

Il risultato, in quei giorni, è stato conquistato. Per questo, di gran carriera era stato scodellato, nel menu di un Consiglio dei ministri dell’ormai lontano novembre 2023, il disegno di legge per garantire maggiore sicurezza agli italiani. Un pacchetto narrato per rispondere a una non meglio precisata emergenza con tutte le fattezze della svolta securitaria della destra di Meloni.

Tanto da preparare, appunto, un maxi provvedimento, che metteva insieme misure anti terrorismo e l’arresto delle donne rom incinte. Vessillo identitario di Salvini, che aveva già preparato lo storytelling social su questo punto.

All’interno c’erano però interventi orientati a contrastare possibili attacchi terroristici, questione tornata all’ordine del giorno dopo l’attentato a Mosca e il conseguente innalzamento della minaccia dell’Is-K. Anche in questo caso si è trattato di un’iniziativa a favore di telecamera. Il sospetto, nei corridoi parlamentari, è che il testo possa essere dissotterrato in vista delle prossime europee. Giusto in tempo per fare un po’ di campagna elettorale, raggranellare qualche voto agitando la sicurezza, prima di inabissarlo di nuovo.

Affanni ed errori

Il clima di affanno nella destra in parlamento è affiorato nell’unica seduta dedicata al disegno di legge. La maggioranza andava di fretta per archiviare il primo dibattito, tanto da voler considerare per assodata l’illustrazione delle norme, sollevando le perplessità delle opposizioni.

Del resto, il contenuto ha già sollevato qualche perplessità dagli uffici legislativi, come emerge dal dossier elaborato alla Camera. Ribadendo un modo arruffone di fare. Alcuni passaggi sono controversi, fin dal modo in cui sono stati scritti. Tra i tanti c’è quello sull’occupazione abusiva degli immobili.

I tecnici di Montecitorio hanno invitato a «chiarire la portata della normativa», perché rischia di ingenerare casi equivoci sul concetto di occupazione dell’immobile. Stesso nodo sulla revoca della cittadinanza: così come è formulato il testo, non viene spiegato se «in attuazione della disposizione, la revoca della cittadinanza possa verificarsi anche nei casi in cui la possibilità di acquisire un’altra cittadinanza poi in concreto non si realizzi».

E ancora, sulla norma che interviene per le rivolte nei penitenziari non è chiaro se «le aggravanti previste si applichino indistintamente ai soggetti che hanno organizzato o meramente preso parte alla rivolta», si legge nel dossier della Camera. Ci sarà da lavorare, dunque, per arrivare a un testo definito. Anche se, al momento, l’obiettivo è quello della propaganda.

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