In una fase in cui i massimi esperti della politica economica mondiale proclamano la fine della globalizzazione, quale sarà il destino dell’industria e della cultura italiane più diffuse nel globo: cibo e vino?

In questo contesto, come giudicare la politica per il settore proposta dal governo Meloni, la “sovranità alimentare”? Si tratta di una riaffermazione di vecchie forme di identity politics anti-globalizzazione? Oppure un tentativo di trovare una nuova via per andare avanti dopo la globalizzazione?

Del fatto che cibo e vino rappresentino la più forte risorsa di soft power di cui il paese dispone, le prove si vedono in ogni momento. Il giorno di Capodanno 2023, il World Service della Bbc ha dedicato il suo regolare programma History Hour al cibo.

La presenza ubiqua

La trasmissione è stata memorabile per lo spazio dato a certi personaggi creativi del settore agro-alimentare dell’Italia.

Il primo servizio ha celebrato il quarantesimo anniversario della nascita della ciabatta, inventata nel paese di Adria, in Veneto, come strumento per rispondere in modo consapevole all’arrivo del pan carré, preconfezionato, in stile americano, nei nuovi supermercati locali. Secondo i promotori della ciabatta, un pane basato su questo modello è ormai disponibile in cinquanta paesi attorno al globo.

Il servizio più ampio del programma ha trattato invece la nascita e diffusione nel mondo del movimento dello Slow Food, con un’intervista al suo celebre padre fondatore, Carlo Petrini.  Il presidente Petrini ha fatto sapere che la sua creatura è ormai presente in varie forme in 150 paesi nel mondo.

L’epoca contemporanea nella storia dell’Italia come superpotenza del soft power, con cibo e vino come pilastri centrali, prende il via con l’esposizione mondiale a Milano nel 2015 dedicata al tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Nel giro di sei mesi, più di venti milioni di visitatori hanno esplorato 1.560 padiglioni sia nazionali che aziendali, dando una grande spinta all’autostima italiana e a quella di Milano in particolare. Il successo ha dato vita ad un gran numero di sottoprodotti di rilievo. La Farnesina ha accettato la sfida della “gastrodiplomazia” – già utilizzata altrove – dando il via alla ”Settimana mondiale della Cucina italiana”, organizzata ogni novembre dalle sue ambasciate e consolati.

Narrativa identitaria

Altro sottoprodotto dell’Expo è stato il convegno bolognese organizzato nel 2016 dal centro di ricerca Nomisma. Per la prima volta diplomatici di più paesi, leader aziendali e studiosi si sono confrontati sugli sforzi che i grandi marchi, ma anche i ministeri, stavano mettendo in atto per rafforzare e organizzare l’influenza e la fortuna del loro cibo sui mercati alimentari globali.

Oltre a essere un business molto visibile e profittevole, i partecipanti hanno capito come cibo e vino rappresentino il tipo di esportazione che pubblicizza al meglio la creatività di una nazione, i suoi territori e i suoi valori.

I protagonisti del settore hanno riconosciuto che una forte narrativa identitaria stava emergendo dall’insieme delle esperienze gastronomiche italiane, esprimendo una sintesi inconfondibile e molto attraente di tradizione e modernità.

La svolta sovranista

Ma le cose prendono una piega nuova e inaspettata quando nel 2022 nasce il governo di centrodestra di Giorgia Meloni. Si scopre che la nuova composizione comprende un ministro che vuole ridisegnare il suo dicastero come il “ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste”.

Ma l’uso della parola “sovranità” non implica protezionismi, esclusioni, barriere tariffarie e non-tariffarie, resistenza anti-Ue e soprattutto anti-globalizzazione? Il governo non comprende due forze politiche, Forza Italia e la Lega, che avevano ufficialmente applaudito McDonald’s – il nemico originale di SlowFood – quando la catena aveva lanciato nel 2010 il suo progetto “McItaly”, di parziale italianizzazione? Oggi la Lega sembra insistere su una sorta di provincialismo militante.

Il significato del concetto

A novembre 2022, il ministro Francesco Lollobrigida ha spiegato in parlamento il significato, secondo il governo, del concetto di “sovranità alimentare”: l’idea alla base di questa scelta è quella di traghettare il mondo agricolo in un sistema di valori e maggiori tutele, che trova nel concetto di sovranità alimentare l’affermazione del made in Italy agroalimentare, delle tradizioni, delle produzioni e dei territori rurali, con una forte identità e un rinnovato protagonismo.

Quindi qualità, stagionalità, sostenibilità ambientale, niente cibo artificiale, niente imposizioni da Bruxelles nell’ambito, per esempio, delle etichettature, lotta a ogni forma di contraffazione, difesa «con convinzione dei principi della dieta mediterranea».

Nelle dichiarazioni del ministro ci sono molti dei principi che hanno animato gli organizzatori dell’Expo 2015, e tanti manifesti del movimento legato a SlowFood.

Infatti, in un articolo su La Stampa, Carlo Petrini ha in qualche modo salutato con favore il concetto di sovranità alimentare, ma ha insistito che per lui il tema dovesse essere riconfigurato, per promuovere «una tensione positiva tra dimensione locale e globale, (permettendo) i popoli di essere davvero liberi nella scelta di cosa produrre e consumare», molto meno esposti ai dettami dell’industria globale del cibo, molto più liberi nell’accesso a terra, acqua e semi.

Il modello francese

Lollobrigida ha riconosciuto che il nuovo nome dato al ministero e i primi provvedimenti sono stati mutuati quasi in toto da Parigi, dove il concetto di sovranità alimentare era stato introdotto dal ministro dell’Agricoltura del governo di Emmanuel Macron nel luglio 2022, coerente con una lunga e molto colorita storia di protezionismo francese sul fronte gastronomico.

A sua volta, Parigi si era appropriata dello slogan dal movimento “Via Campesina” (un fronte trasversale di agricoltori dei paesi emergenti), che l’aveva inventato in occasione di un vertice sull’agricoltura alternativa, organizzata alla Fao nel 1996. Ma il soft power delle risorse gastronomiche italiane nel mondo – e il suo grande vantaggio sugli unici concorrenti che contano (Francia e gli Stati Uniti) – deriva dal suo dinamismo imprenditoriale sia nel settore no-profit che in quello commerciale; dall’accessibilità economica dei suoi prodotti e dall’ubiquità della diaspora italiana nei vari angoli del globo. Ma soprattutto è sostenuto dalla creatività nel proporre tanti modi diversi di sintezzare tradizioni e innovazioni. Agli inizi del “Secolo americano”, negli anni Quaranta, uno scrittore irlandese, disse: «Il nocciolo della questione per noi è trovare una formula di vita che sappia congiungere le vecchie tradizioni e il nuovo mondo che ci assale da ogni parte». In Italia si gode di un’ampia scelta nelle formule, ma al loro centro saranno sempre presenti cibo e vino.

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