Più che sulla Finanziaria, considerata ormai elemento archiviato, il governo si è arrovellato intorno al Superbonus edilizio del 110 per cento. La misura - che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha definito «un Lsd a cui ci siamo assuefatti» che ha dato allucinazioni al paese – è un pozzo senza fondo che è già costata in tutto almeno 100 miliardi di euro, ma stopparla di netto a fine anno comporterà lasciare scoperti circa 25mila cantieri non ancora conclusi, con uno strascico di cause giudiziarie e cittadini con spese impreviste.

Al netto della questione economica, però, il problema è diventato politico, col rischio di diventare la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso di una maggioranza molto divisa. Forza Italia, infatti, si è intestata il problema di quelli che già sono stati ribattezzati gli “esodati del Superbonus” e, già in crisi di nervi dopo il voto contrario al Mes, non ha voluto mollare sul Superbonus. «Abbiamo digerito l’astensione sul Mes, su questo bisogna tenere, altrimenti avremmo davvero abdicato su tutto», è il ragionamento di un deputato azzurro critico con la linea del segretario Antonio Tajani. Davanti a un gruppo sempre più infastidito dalla sensazione che il ministro degli Esteri sia il proverbiale vaso di coccio tra i vasi di ferro di Lega e Fratelli d’Italia, Tajani ha capito che questa volta avrebbe dovuto puntare i piedi.

Così è stato, con un pre-consiglio dei ministri durato più di un’ora insieme a Giorgetti, Matteo Salvini e il sottosegretario Alfredo Mantovano (la premier Meloni è ancora malata), da cui il leader di Forza Italia è uscito con una proroga selettiva del Superbonus in un decreto ad hoc. Sulle cifre, però, ancora non ci sono certezze. Se non quella che Giorgetti, che era deciso a sospendere il bonus per evitare ulteriori emorragie economiche, ha dovuto ingoiare l’ennesima smentita, almeno parziale.

Le mosse di FI

Il risultato finale è stato reso noto da Forza Italia, che lo rivendica come un suo successo anche in vista delle europee: il Superbonus al 110 per cento rimarrà per i cittadini a basso reddito che non hanno completato i lavori di ristrutturazione entro la fine dell’anno (invece di abbassarsi al 70 per cento), inoltre è prevista una «sanatoria» (termine che farà inorridire Giorgetti) per cui chi non ha completato i lavori entro il 31 dicembre non dovrà comunque restituire somme allo Stato.

Il dl, quindi, si applicherà selettivamente. In cdm, poi, è stato approvato anche il testo della legge Milleproroghe di fine gennaio due decreti legislativi di attuazione della delega per la riforma fiscale, un altro decreto legislativo di attuazione del primo modulo di riforma dell’Irpef. «Nessun cittadino onesto sarà penalizzato perché lo Stato mantiene i propri impegni. Grazie all'iniziativa e alla determinazione di Forza Italia è stato infatti raggiunto un accordo sul Superbonus per tutelare cittadini e imprese», ha affermato il capogruppo di FI alla Camera, Paolo Barelli, che ha fatto da apripista nell’anticipare l’esito favorevole del vertice di governo. Il conto finale di questa sanatoria non è ancora chiaro, ma dovrebbe trattarsi di poco meno di due miliardi. Un piccolo successo, questo, che dà ossigeno soprattutto a Tajani.

La galassia di Forza Italia, infatti, è in ebollizione in vista delle europee: in regione Lazio ha creato un intergruppo con Noi moderati, provando ad anticipare un’operazione centrista. Inoltre è alle prese non solo  con l’individuazione dei candidati con cui sperare di attestarsi ancora intorno all’8 per cento della sopravvivenza, ma anche con un bilancio sempre più in rosso. Senza più Silvio Berlusconi ad appianare i conti, infatti, le casse del partito languono ed è arrivata dell’ennesima sollecitazione ai morosi: chi vuole essere ricandidato deve «necessariamente mettersi in regola con i pagamenti dei contributi dovuti al movimento», si legge in una nota ufficiale, che aggiunge che «non vi saranno deroghe anche a costo di perdere personaggi» che «hanno già dimostrato di concepire l’impegno politico solo per fini personalistici».

Il riferimento è a uno fra i tanti: l’eurodeputato uscente Aldo Patriciello da 80mila voti, che ha dato l’addio a FI e che rischia di dare avvio all’emorragia di voti.

Guardando al presente, però, l’esultanza di Forza Italia disinnesca così una delle mine sotto il governo post voto negativo sul Mes. Tuttavia le giornate di Meloni rimangono agitate.

Dopo il Mes

La premier, infatti, non chiude l’anno sull’onda dell’entusiasmo e dell’«orgoglio» che ha provato a trasmettere con il suo messaggio di Natale. Ancora malata – i bollettini medici parlano di un problema di oliti, che la blocca a letto al buio e con giramenti di testa – Meloni ha fatto slittare la consueta conferenza stampa di fine anno a dopo l’anno nuovo. Dopo due rinvii per cause di salute, incontrerà i giornalisti il 4 gennaio e in quella sede le domande saranno molte e non benevole.

Certamente l’accordo raggiunto in cdm sul Superbonus le risparmierà più di un imbarazzo, che invece ci sarebbe stato se la conferenza si fosse tenuta ieri come da programma: ora il governo ha trovato l’accordo tra l’intransigenza di Giorgetti e le richiesta di Forza Italia e le ire degli azzurri si sono temporaneamente placate.

Tuttavia, le sue risposte avranno comunque risvolti politici non solo interni ma anche in Unione europea, visto che ancora non ci sono state sue riflessioni ufficiali dopo il no alla ratifica del Mes. In conferenza stampa le verrà certamente chiesto conto delle conseguenze del no sui suoi rapporti con le cancellerie europee, ma anche su cosa aspetta l’Italia dopo essersi sfilata dalla modifica dell’accordo internazionale.

L’onda lunga di quel voto negativo, infatti, non è ancora finita: il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ha infatti istituito il Giurì d’onore nei confronti della premier, come richiesto dal deputato e leader Cinque stelle, Giuseppe Conte, che si era sentito leso nell’onore quando Meloni nel suo intervento d’aula di qualche settimana fa accusò il suo governo di aver agito con il favore delle tenebre e di aver detto sì al Mes in modo scorretto. Il presidente del Giurì sarà l’azzurro Giorgio Mulè e dovrà riferire a Montecitorio entro il 9 febbraio.

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