Prima in sordina Luciano Violante e Anna Finocchiaro, oggi Giuliano Amato, Franco Gallo, Alessandro Paino, Franco Bassanini lasciano la commissione presieduta da Sabino Cassese. Commissione nominata dal ministro Roberto Calderoli, per la definizione dei Livelli essenziali di prestazione, e funzionale al prosieguo dell’iter della riforma in senso rafforzato dell’autonomia regionale.  

Lo fanno in una lettera, con motivatissime ragioni costituzionali sull’impossibilità di rendere coerente la proposta di Calderoli, così come formulata, con il mandato ricevuto dalla Commissione di definire i Livelli essenziali di prestazione dei servizi da rendere ai cittadini con le previsioni della Carta, che fa o dovrebbe fare aggio su qualsiasi proposta di modifica del regionalismo.

Detto da due ex presidenti della Corte, da un ex presidente della Corte dei conti e da un ex ministro della Funzione pubblica, è un colpo obiettivo all’iniziativa di Calderoli, la cui reazione è in perfetto politichese populista: Amato, Gallo, Paino, Bassanini avrebbero subito, nella loro presa di posizione, «pressioni politiche».

“Pressati” da chi?

A occhio, considerato il livello delle personalità “pressate”, la sensazione, assolutamente positiva, è che abbiano subito le pressioni della loro coscienza di italiani. Un tipo di pressione che evidentemente Calderoli fatica a mettere in conto.

E poi di grazia: il ministro per la sua iniziativa da chi sarebbe stato pressato? Dallo Spirito santo, da un ordine del medico? Sarebbe meglio fermarsi a ragionare al di là delle polemiche politiche, in puro spirito di interesse nazionale e dello stato unitario che ancora siamo.

Personalmente mi spingo oltre le argomentazioni dell’abbandono della Commissione da parte di Amato, Gallo, Paino, Bassanini. E invito a ragionare se il concetto stesso di Lep non sia incostituzionale in sé, e quindi impraticabile in fatto e in diritto.

Perché livelli “essenziali” delle prestazioni tra varie regioni diversamente capaci sul piano fiscale non saranno mai prestazioni “eguali” per i cittadini. E la Costituzione a naso mi sembra, da non costituzionalista, che questo principio tuteli, ed esso sia il suo architrave di equità nella fruizione della cittadinanza.

Regionalismo deformante

Già il regionalismo che c’è deforma in termini di costituzione materiale del paese, per i suoi irrisolti divari, la costituzione formale. Qualsiasi incremento del regionalismo non farebbe che peggiorare la situazione. E fondamentalmente disarticolare lo stato nazionale in venti “caciccati” di varia forza, nei cui equilibri si sposterebbe ancora di più, e a danno dei “caciccati” più deboli, il potere “politico” di uno stato di fatto “federalizzato” per devoluzione secessionista.

Un unicum, si realizzasse, nella storia dello stesso federalismo; un passo prima di un’Italia tornata a espressione geografica (copyright Metternich, istituendo al Congresso di Vienna del 1815 il Regno Lombardo-Veneto a dipendenza austriaca; oggi la dipendenza sarebbe dal “sistema tedesco”).

E questo in una congiuntura in cui la stessa Europa ci ha messo a disposizione 200 miliardi con il Pnrr per rilanciare la coesione del paese, necessaria all’Europa stessa. Smettiamola di giocare a Metternich, e chiuda Meloni, forte della sua tradizione politico-culturale, e sul punto della vera maggioranza degli italiani, questo sgangherato e pericoloso Congresso di Vienna de noantri in nome degli schei.

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