Sul salario minimo no, sull’autonomia invece si materializza, all’improvviso, il fronte unito delle opposizioni. Succede perché il Sole 24 Ore dà notizia delle dimissioni di quattro pesi massimi della commissione “Clep”, «il comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, da garantire su tutto il territorio nazionale, che supporterà il lavoro della cabina di regia istituita ai sensi della legge di bilancio», per come l’aveva annunciata il ministro delle autonomie Roberto Calderoli lo scorso 23 marzo.

Il ministro aveva chiamato un plotone di 61 saggi bipartisan. Ma era chiaro che Calderoli cercava coperture a sinistra. Meno chiaro perché prestigiosi accademici avessero accettato, come non si rendessero conto del guaio in cui si andavano a cacciare. Le prime dimissioni, quelle di Luciano Violante e Anna Finocchiaro, sono arrivate in sordina.

Ma lunedì a lasciare sono stati Giuliano Amato e Franco Gallo, due ex presidenti della Corte Costituzionale, Alessandro Paino, ex presidente del Consiglio di Stato, e Franco Bassanini, ex ministro della Funzione pubblica. E la lettera, indirizzata al presidente Sabino Cassese e a Calderoli, è stata pubblicata dal giornale di Confindustria.

Le motivazioni

«Siamo costretti a prendere atto che non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione ai lavori del Comitato», scrivono i costituzionalisti, «prima della attribuzione di nuovi specifici compiti e funzioni ad alcune Regioni con le corrispondenti risorse finanziarie», sostengono, serve «la determinazione di tutti i Lep attinenti all’esercizio di diritti civili e sociali e la definizione del loro finanziamento, secondo i principi e le procedure dell’art. 119 della Costituzione».

I precedenti non bastano, spiegano i quattro, anche perché «vi sono materie nelle quali il legislatore non ha mai proceduto a determinare Lep e molte altre nelle quali questa determinazione è stata parziale. E non è mai stato fatto il lavoro di comparazione complessiva dei Lep con le risorse finanziarie, volta a definire quali livelli essenziali effettivamente sono assicurabili a tutti, senza discriminare nessuno o creare insostenibili oneri per la finanza pubblica».

Insomma non si può procedere regione per regione come proponeva Cassese, sempre più negli abiti del costituzionalista di governo che cerca di mediare fra le richieste impossibili, cioè incostituzionali, del ministro e la Carta.

«Ne restano 58»

Il ministro si dichiara «sorpreso e rammaricato». Sorpreso in realtà deve esserlo, ma fino a un certo punto: ammette di aver ricevuto una lettera, in precedenza, in cui i quattro gli avevano annunciato che «non avrebbero partecipato ulteriormente ai lavori del Clep senza però dirmi che si sarebbero dimessi». Sperava insomma che il caso rimanesse riservato. Pazienza: «Erano 62 membri nel comitato e ora ne restano 58, ancor più motivati nel raggiungimento dell’obiettivo».

Ma la lettera è una manna per le opposizioni. Attacca il Pd: «L’esecutivo ha imboccato un vicolo cieco» (il senatore Dario Parrini); le dimissioni sono «una pietra tombale» sul ddl Calderoli, (il capogruppo al senato Francesco Boccia); la riforma «sta lentamente naufragando» (il deputato Marco Sarracino, responsabile Sud del Pd). Gli abbandoni sono «un requiem» per la M5s Alessandra Maiorino, e «un colpo da ko a una riforma iniqua» per Mara Carfagna di Azione.

Deve arrendersi all’evidenza persino Italia viva: «Restiamo favorevoli all’autonomia, ma le dimissioni illustri dimostrano che la riforma non dà risposte chiare sulle risorse», ammette la senatrice Daniela Sbrollini. «La riforma è strutturalmente sbagliata», chiude la partita il collega Davide Faraone.

Fallimento annunciato

Del resto che il «metodo Cassese» non stesse in piedi, ovvero individuare i Lep solo per le materie che interessano le regioni Veneto e Lombardia, e non per tutte le altre materie di interesse sociale, era già chiaro a molti colleghi del presidente emerito.

«È come se si volesse costruire una sopraelevazione di un piano a un edificio già pencolante», spiega il costituzionalista di area democratica Stefano Ceccanti, «Peraltro non si può affidare l’implementazione di una riforma che ha rilevantissimi profili politici a una commissione tecnica, per quanto autorevole. Ed è impossibile attuare il regionalismo differenziato a Costituzione invariata, senza rivedere prima il Titolo V».

La notizia non è buona neanche per la ministra delle Riforme Elisabetta Casellati che nel frattempo continua le sue consultazioni sul premierato. Procede, ma al buio: ancora non è chiaro se la sua proposta conterrà l’elezione diretta del presidente del consiglio. E non è certo neanche se riuscirà a stilare un testo «prima della pausa estiva», come ha ripetuto venerdì. Visto lo stato dei rapporti nella maggioranza, in realtà è sempre più probabile che autonomia e premierato slittino, fra un inciampo e un altro, a dopo le europee.

Un lancio insperato

Il Pd incassa un lancio insperato per l’iniziativa del 14 e 15 luglio a Napoli contro il ddl Calderoli, evento che fin qui aveva fatto parlare di sé solo per gli sfottò del presidente campano Vincenzo De Luca contro Elly Schlein. Ieri Sarracino ha annunciato che la due-giorni si svolgerà a Foqus, fondazione nel cuore dei Quartieri Spagnoli.

Sono invitati tutti quelli che si vogliono confrontare sul ddl, «con i nostri amministratori locali, il mondo dei saperi, del lavoro, dell'economia e della società civile». Concluderà Schlein, ancora in forse la presenza di De Luca.

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