Governo e parlamento dovranno prendere sul serio le avvertenze della Banca d’Italia sull’autonomia differenziata. Le analisi della Banca Centrale certificano i molti rischi di un tale intervento e consigliano estrema prudenza nell’attuare questa riforma per non danneggiare il paese. Infatti, lo stato italiano, devolvendo larga parte del bilancio pubblico alle regioni, vedrebbe fortemente indebolita la sua capacità di azione in termini di politica economica, perché avrebbe spazi limitati per aiutare l’economia in caso di recessione o, peggio, di eventi traumatici che purtroppo non possiamo escludere dal nostro orizzonte.

L’irrigidimento del bilancio

In altre parole, rinunciando a una parte rilevante delle entrate e della spesa pubblica che sarebbe devoluta automaticamente alle regioni per le nuove competenze, allo stato rimarrebbe una parte residuale del bilancio insufficiente a regolare l’economia. Ne risulterebbe un forte irrigidimento del bilancio pubblico, caratterizzato essenzialmente da trasferimenti agli enti locali, che finirebbe per penalizzare la capacità di intervento dello stato.

Quest’ultimo perderebbe di sovranità nazionale, proprio in questo periodo di ritorno dell’intervento pubblico in economia, ciò che ci metterebbe in forte debolezza nei confronti dei nostri partner concorrenti. Inoltre, attribuire alle regioni quote fisse di tributi finirebbe per determinare inefficienze e future nuove diseguaglianze territoriali, nei casi in cui alcune regioni vedessero variare le loro entrate (in più o in meno) senza riferimento esplicito alle loro esigenze di spesa, come potrebbe succedere nel caso in cui il gettito di talune imposte variasse significativamente nel tempo, da regione a regione, anche a causa della mobilità delle persone e delle imprese sul territorio nazionale.

La perdita di efficienza

Il presidio dei comitati contro l'autonomia differenziata

Ma il rischio maggiore sta nella grave perdita di efficienza di tutto il paese se, come sostiene la Banca d’Italia, i costi impliciti nella regionalizzazione derivanti dalla riduzione delle economie di scala a causa della frammentazione delle competenze, non fossero compensati e superati dai benefici che potrebbero derivare dalla vicinanza con i percettori dei servizi regionalizzati. E qui dobbiamo porci una domanda: le regioni sono un esempio di servizi efficienti per i cittadini?

La risposta sembra essere fortemente negativa, sulla base dei servizi che sono forniti dalle regioni per le competenze che già detengono. Sulla sanità, ne abbiamo avuto, purtroppo, una prova drammatica durante la pandemia, quando il sistema regionale ha marcato diffuse inefficienze e solo l’intervento dello stato centrale ha potuto consentire di superare le difficoltà, ma con il costo di una mortalità elevata durante la pandemia. Sul sistema dei trasporti locali credo ci sia poco da aggiungere alle lamentele continue e alle irrazionalità di sistemi regionali che privilegiano tratte all’interno della regione, anche quando l’utenza ha invece esigenze diverse perché gravitano su città di altre regioni.

Le politiche del lavoro

Se poi andiamo alle politiche per il lavoro, si può dire che il fallimento delle regioni sia sotto gli occhi di tutti, sia in termini di formazione che di avviamento al lavoro, al punto che anche questo governo ha mantenuto a livello centrale i poteri di sostituzione delle regioni in questa materia. Poiché queste sono le principali attività attuali delle regioni dopo oltre 50 anni di attuazione dell’istituto regionale, ce n’è abbastanza per sconsigliare di ampliare le loro competenze in materie difficilmente divisibili sul territorio (istruzione, ambiente, ecc.) e per le quali le regioni non sono per nulla attrezzate a provvedere.

Pagheremmo dei costi altissimi specie nei lunghi periodi di apprendimento e di sperimentazione. In queste condizioni, procedere con l’autonomia differenziata significa generare marcate inefficienze in tutto il paese, anche nelle regioni che avrebbero un vantaggio fiscale dall’autonomia, con pesanti effetti su tutti gli italiani. C’è da sperare che siano soprattutto le regioni più ricche quelle che capiscano che sia un bene rinunciare a questo progetto di regionalizzazione spinta. 

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