In un comunicato stampa il ministero dell’Istruzione smentisce la chiusura delle scuole denunciata dai sindacati e da Domani, ma le tabelle che ha allegato confermano il taglio. «La norma da noi proposta non prevede chiusure di plessi scolastici – scrive Valditara – Ma l’efficientamento della presenza della dirigenza sul territorio».

Le tabelle allegate dal ministro, però, mostrano in modo inequivocabile la riduzione delle scuole a partire dall’anno 2024-2025. Una riduzione che non prevede in modo automatico la riduzione degli edifici scolastici, i “plessi” a cui si riferisce il ministro, ma che secondo i sindacati potrebbe esserne una probabile conseguenza.

Il punto

La manovra economica stabilisce che se entro il prossimo anno non sarà raggiunto un accordo tra governo e conferenza stato regioni sul numero di scuole da assegnare a ciascuna regione, un’eventualità ritenuta da tutti gli attori molti probabile, il ministro dell’Istruzione e dell’Economia agiranno in autonomia.

In sostanza, ad ogni regione sarà assegnato un numero di scuole sulla base di un calcolo che prevede la divisione del numero degli studenti per un coefficiente che stabilisce che ogni scuola dovrà avere un numero minimo di 900 studenti. Una volta assegnato un certo numero di scuole, le singole regioni potranno decidere come distribuirle, ad esempio mantenendo scuole con meno di 900 studenti in zone particolarmente svantaggiate.

Ma questo dovrà avvenire a parità di numero totale e quindi comporterà un taglio, considerato che il numero minimo di studenti per scuola al momento è pari a 600. Il taglio è illustrato nelle tabelle presentate dal ministero e sarà pronunciato soprattutto in alcune delle regioni meridionali, proprio quelle dove la scuola avrebbe bisogno di più investimenti. 

Nel corso di dieci anni, le scuole dovrebbero passare dalle attuali 8.136 (di cui circa 600 sono sottodimensionate rispetto all’attuale normativa per via di varie deroghe) a 6.885, con l’eliminazione di quasi una scuola su dieci.

Una situazione non ideale

L’attuale situazione su cui è intervenuto il ministro è meno che ideale. Al momento sono soltanto 7.517 le scuole sopra i 600 studenti (su più di 8mila) e poco più di 7.400 i dirigenti in organico. Questo significa che ci sono circa 600 scuole di varie dimensioni che non hanno un dirigente scolastico, ma un reggente, cioè un dirigente che divide il suo tempo tra due scuole diverse, con molti problemi per l’organizzazione.

La situazione si protrae da tempo a causa dei blocchi delle assunzioni e poi della mancanza di volontà da parte degli ultimi governi di investire sulla scuola. Il ministro Valditara ha deciso di eliminarla non reclutando nuovi dirigenti, ma stabilendo il meccanismo che abbiamo visto per accorpare le scuole.

Questo rischia di comportare altri problemi, oltre a quello di accettare come dato di fatto l’attuale sistema della reggenza, pur eliminandolo formalmente. Non sono previste infatti nuove assunzioni di dirigenti che nel frattempo continueranno a diminuire a causa di centinaia di pensionamenti.

Le scuole nel frattempo cresceranno di dimensione e diventeranno più complicate da gestire. I consigli dei docenti diventeranno molto più numerosi e in seguito alla soppressione di una scuola un’altra potrebbe trovarsi a dover gestire plessi aggiuntivi, magari a grande distanza. Non è escluso che alcuni edifici scolastici saranno chiusi in seguito agli accorpamenti, allontanando i presìdi scolastici da migliaia di famiglie. 

© Riproduzione riservata