Le cariche di governo regionale e comunale non sono comparabili con le cariche di rappresentanza parlamentare. Inoltre la regola dei due mandati ha funzionato in maniera più che soddisfacente garantendo un ricambio ordinato nelle cariche di governo regionale e locale
Ci sono molte buone ragioni per rispondere “no, non si può” (e, in special modo non si deve) a tutti coloro, ma soprattutto ai diretti interessati (De Luca, Zaia, ultimo, ma nient’affatto trascurabile, il sindaco di Milano Sala che sembra essersi messo avanti con il lavoro), che chiedono di consentire un terzo mandato ai presidenti delle regioni e ai sindaci.
In ordine di “urgenza”, la risposta è, primo, non si cambiano le regole quando il "gioco" è già iniziato e meno che mai si cambiano ad personas, su richiesta dei diretti interessati. Questa risposta ha più peso se chi la dà non ha nulla da guadagnare, che non è propriamente il caso dei granitici Fratelli d’Italia aspiranti alla conquista del Veneto.
La regola dei due mandati ha funzionato in maniera più che soddisfacente garantendo un ricambio ordinato nelle cariche di governo regionale e locale. Di recente, già altri governanti, ad esempio, il presidente dell’Emilia-Romagna e il sindaco di Pesaro, seppure a malincuore, ma adeguatamente ricompensati, l’hanno rispettata. Nessuna eccezione deve essere fatta. Al limite, ma proprio come extrema ratio, se cambiamento dovesse esserci, non dovrebbe valere subito per i diretti interessati ai quali bisogna imporre comunque di saltare un giro.
Governanti e rappresentanti
Il riferimento comparato che i richiedenti, in particolare Zaia e De Luca, fanno fra le cariche di sindaci e di presidenti di regioni, soggetti alla regola, e quelle dei parlamentari, pluririeleggibili a piacimento, spesso, però, non loro, è del tutto mal posto.
I primi sono governanti, i secondi sono rappresentanti. Sindaci e presidenti di regione hanno una ampia batteria di poteri decisionali specifici, propri, significativi con i quali, sono stati in grado di favorire alcuni gruppi, associazioni, attività anche senza volerlo (ma sarebbe fare loro un torto pensare che non lo sappiano) in maniera legittima, ancorché foriera di conseguenze.
Più o meno consapevolmente hanno costruito reti di relazioni di potere e di scambio che possono persino ingabbiare eventuali tentativi di innovazione. Comunque, quelle relazioni intrecciate conferiscono loro un indubbio vantaggio di partenza nelle competizioni elettorali, in termini di visibilità, popolarità, sostegno anche sotto forma di finanziamenti.
Fra i parlamentari, anche quelli di troppo lungo e poco meritato corso, nessuno ha comunque mai nelle sue mani quantità di potere decisionale commisurabile a quello, nel loro piccolo, medio, grande, acquisito e esercitabile dagli occupanti dei vertici regionali e comunali. Naturalmente, tutti sanno che prima con la legge elettorale Calderoli (giustamente bollata come Porcellum), poi con l’abortito Italicum partorito da Renzi-Boschi e con la legge elettorale vigente (che porta il nome di Rosato), i parlamentari non sono “eletti”, ma nominati e cooptati, e quindi possono essere scaricati (sic) dai loro dirigenti.
Elettori e democrazia
Questa brutta procedura li rende ancora meno potenti con aleatoria durata in carica e non può servire a giustifica l’estensione di un qualsivoglia terzo mandato a livello locale. Piuttosto, dovrebbe rendere urgente e indispensabile procedere alla stesura di una legge elettorale decente (ce ne sono, eccome, più di una) per la nazione. Attendiamo le proposte di Zaia e De Luca, ma anche, se vorrà, di Sala.
L’argomentazione al tempo stesso più subdola e più pericolosa utilizzata, in special modo da Zaia, ma anche da De Luca, per ottenere deroga e terzo mandato, chiama in causa gli elettori e la stessa democrazia. I sondaggi dicono che entrambi i presidenti di regione sarebbero riconfermati nella loro carica a (diverso) furor di popolo. Pertanto, sostengono i “terzisti”, chi vuole imporre, mantenere e fare rispettare il limite dei due mandati, si schiera contro il popolo. Sostanzialmente, poiché toglie potere al popolo meriterebbe di essere definito “nemico del popolo”.
Tutt’al contrario, è proprio la contrapposizione di una più o meno presunta (accertabile soltanto al termine della campagna elettorale e della competizione fra più candidature) volontà del popolo alle regole in vigore che si caratterizza come espressione di populismo, di tremendo populismo.
Nel circuito istituzionale italiano, non il più “bello” delle democrazie contemporanee, ma neppure il più brutto c’è molto da ritoccare e cambiare, molto che può essere migliorato, non la regola del limite dei due mandati. Anzi, bisognerà tenerla in assoluta considerazione qualora si procedesse malauguratamente all’elezione popolare diretta del capo del governo. Meditate.
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