Anche sulla tregua in Medio Oriente, la linea della premier Giorgia Meloni è quella del doppio registro. Istituzionale e di governo lei, che ha parlato al Tg1 dicendo che «C'è ancora moltissimo da fare» ma l'accordo «è un buon inizio» e «le immagini della popolazione di Gaza sono commoventi, dobbiamo festeggiare tutti ma anche continuare a tenere l'attenzione sul lavoro delicato e importante che va fatto».

La lotta, invece, l’ha lasciata alla sorella Arianna Meloni, sempre più attiva nel suo ruolo di capa della segreteria politica di Fratelli d’Italia, che ha pubblicato su Instagram una fotografia della presidente del Consiglio con la scritta «complice della pace in Palestina», con riferimento alle accuse di complicità nel genocidio a Gaza mosse dalla Cgil con Maurizio Landini. La sintesi, tuttavia, è quella di un governo Meloni che oggi può rivendicare di essere rimasto nella perfetta scia del presidente americano Donald Trump, approvando una generica mozione di impegno per il governo al riconoscimento della Palestina invece di un atto vero e proprio.

L’atteggiamento di prudenza rispetto a paesi come Francia e Spagna che si sono schierati in modo autonomo rispetto a Washington è certamente moneta utile per la premier in vista del futuro, almeno nel continuare ad essere considerata interlocutrice amica del tycoon. Del resto, ha detto Meloni rivendicando il lavoro silenzioso del suo governo, «l'Italia è pronta a contribuire alla stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo di Gaza».

Alle parole attente della premier ha invece fatto eco il leader della Lega, Matteo Salvini, il quale con un tweet ha rilanciato la candidatura al Nobel per la Pace a Donald Trump: «É intelligente. L'hanno dato a Obama senza particolari meriti conquistati sul campo». A lui si è accodato ma con più circospezione Antonio Tajani, secondo cui «Trump avrebbe certamente i titoli» se si raggiungesse l’obiettivo della pace.

L’Unione europea

Meno entusiasta, invece, è l’opposizione. Sia il Pd che il Movimento 5 Stelle hanno espresso gioia per l’accordo sulla tregua, ma hanno avuto parole fredde nei confronti di Trump e dell’alleata Meloni. «Vedo un particolare attivismo del governo italiano nell'intestarsi un processo di pace di cui si finge promotore e protagonista», ha detto Giuseppe Conte, parlando di «silenzio complice di fronte a un genocidio» dell’Italia.

Prudente anche Elly Schlein, secondo cui «ora serve che tutti rispettino l'accordo e che si prosegua con tutti gli altri passi indispensabili per garantire la soluzione politica dei due popoli e due Stati».
Certo è che la pace sia il risultato in cui tutti sperano. Anche l’Unione europea – considerata evanescente sul piano politico nelle trattative – è pronta a fare la sua parte: «È ben posizionata per contribuire al piano di pace», ha detto il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Anouar El Anouni, secondo cui il ruolo europeo è stato quello di «costante sostegno politico e finanziario sia a Israele, che all'Autorità nazionale palestinese e al popolo palestinese».

Quanto alle prossime mosse, saranno oggetto di discussione nei prossimi incontri, ma l'Alta rappresentante Kaja Kallas ha partecipato alla riunione organizzata a Parigi per mettere in campo le competenze europee nella fase post-conflitto.

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