In tre alla camera, in sei al senato: se non è una spaccatura del Pd quella che è successo in parlamento sulle risoluzioni sul sostegno all’Ucraina, certo non è un segnale di perfetta salute. Dopo le comunicazioni del ministro Guido Crosetto, il Pd ha votato la propria risoluzione e si è astenuto su quella del governo.

Ma in tre alla camera (Guerini, Quartapelle e Madia) hanno votato a favore del primo punto del dispositivo, l’impegno a sostenere l’Ucraina anche attraverso invio di armamenti. E poi hanno votato sì alla risoluzione di Iv-Azione. E in sei al senato hanno votato a favore della risoluzione della maggioranza (Malpezzi, Casini, Valente, Parrini, Sensi, Rojc).

Questione di coerenza, ha spiegato ai cronisti Lorenzo Guerini: «Non c’è nessun dissenso. Ma da ministro ho votato cinque decreti per l’invio di armi all’Ucraina. Non sarei stato credibile». All’epoca del governo Draghi, dall’opposizione FdI aveva votato le risoluzioni del governo. Ma la questione era anche un’altra: per non votare contro il testo dei grillini, che diceva no alle armi, l’ordine di scuderia è stato astenersi su tutte le altre mozioni.

L’episodio è delicato perché riguarda la politica estera del Pd, la linea della campagna elettorale delle europee. Un dossier che presto sarà affrontato dalla segretaria, anche se a ieri non c’era una data per la prossima direzione del Pd. Ma prima, secondo molti, e molte, c’è un altro nodo: la segretaria correrà o no? La «riflessione» in effetti sta accelerando, a dispetto della sua risposta rituale «è l’ultima delle questioni».

Chi in queste ore le ha parlato ha capito che la riserva sarà sciolta presto. E forse non sarà fra giovedì e venerdì, quando il Nazareno è impegnato in una due giorni “europeista” in ricordo di David Sassoli, nel secondo anniversario della morte (l’11 gennaio 2022).

Ma comunque nelle immediate vicinanze del seminario a porte chiuse organizzato dalla presidente dei deputati Chiara Braga a Gubbio, il prossimo 18 e 19 gennaio. Anche se il seminario, spiega un parlamentare dem, «è completamente slegato dalla questione della corsa di Elly». In ogni caso tirarla troppo per le lunghe non conviene neanche a lei. Negli ultimi giorni si è infittita la frequenza con cui i big del partito le lanciano in chiaro sui giornali segnali perplessi se non contrari (Stefano Bonaccini, Matteo Orfini). I messaggi riservati sono molti di più.

Per ora due punti fermi filtrano dai parlamentari più vicini alla segretaria. Primo: le critiche contro una candidatura di bandiera di Schlein cadono nel vuoto. Secondo: la segretaria ha ristretto la rosa, sta scegliendo tra candidarsi in tutte e cinque le circoscrizioni o in nessuna.

Una scelta a metà, cioè fare la capolista solo in tre, viene valutata un’operazione politica senza senso. Infine: la scelta non dipende da quella di Giorgia Meloni. E alla fine potrebbe anche essere vero: il tetris interno al partito è assai più complicato di una rischiosa ma tutto sommato lineare sfida polarizzata con la leader della destra.

Gli equilibri

La matassa interna invece è molto ingarbugliata. Il fatto è – è il ragionamento amichevole verso la segretaria – che se non si decidono i capilista, è complicato comporre le liste. Ma il punto è un altro, ed è su questo che Schlein deve fare una valutazione attenta. Nei collegi preparano la corsa i big, alcuni dei quali hanno l’intenzione di “pesarsi” alle urne. Per essere eletti a Bruxelles ma non solo: anche per pesarsi dentro il partito.

E farsi trovare piazzati, in caso di risultato scarso del Pd e di messa sotto accusa della segretaria. Si tratta di un movimento carsico, ma non abbastanza da non affiorare nelle conversazioni riservate. Soprattutto quelle che riguardano il Sud. Dove correrà il sindaco di Bari Antonio Decaro.

La sua scommessa è di prendere tanti voti. E se c’è la segretaria, di prenderne più di lei. Facendosi aiutare dal presidente della Puglia Michele Emiliano e magari anche da quello della Campania Vincenzo De Luca, che in molti descrivono come scontento e offeso della scarsa considerazione – ma è un eufemismo – in cui lo tiene Schlein.

Emiliano ha già promesso l’appoggio al sindaco, De Luca no: punta al terzo mandato in regione. Potrebbe far convergere i suoi voti su Decaro tanto per ricordare quanto conta nella regione in cui Schlein non ha vinto le primarie.

Una montagna di voti al Sud sarebbe un piazzamento importante. Anche perché di De Caro si parla come di un papabile futuro segretario. In pratica le europee diventerebbero il primo tempo del futuro congresso; o comunque un avviso. Peraltro se Schlein si candidasse, al Sud (come altrove) rischierebbe di non fare eleggere altre donne, e di non far eleggere nessuno dei suoi (c’è Sandro Ruotolo in pole position).

Altri big si peseranno: al centro Nicola Zingaretti e Dario Nardella; al Nord Est Stefano Bonaccini; al Nord Ovest c’è ancora l’ipotesi di Andrea Orlando (che ha dato la disponibilità per la corsa delle regionali liguri del 2025), c’è Brando Benifei e salgono le quotazioni di Cecilia Strada; nelle isole Piero Bartolo, medico di Lampedusa e parlamentare uscente.

Un puzzle complicato, che però deve cominciare ad essere composto presto. Ed è vero che prima va scritto un programma credibile per l’Europa, dove magari affrontare le questioni che ieri si sono affacciate nel voto per l’Ucraina. Ma per essere pratici, prima Schlein decide che fare, meglio è. Per il Pd, e per lei.

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