«La Repubblica si inchina alla memoria di Paolo Borsellino». Usa queste parole Sergio Mattarella, trentuno anni dopo la strage di via D’Amelio. Lo fa in una ricorrenza che è tornata al centro del dibattito politico, con la discussione sulla revisione del reato di concorso esterno, proposta nei giorni scorsi dal ministro Carlo Nordio.

Il presidente della Repubblica ricorda Borsellino «magistrato di straordinario valore e coraggio» e gli agenti della sua scorta – Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina – «che con lui morirono nel servizio alle istituzioni democratiche».

Incancellabile

«Quel barbaro eccidio, compiuto con disumana ferocia, colpì l’intero popolo italiano e resta incancellabile nella coscienza civile. Il nome di Paolo Borsellino, infatti, al pari di quello di Giovanni Falcone, mantiene inalterabile forza di richiamo ed è legato ai successi investigativi e processuali che misero allo scoperto per la prima volta l’organizzazione mafiosa e ancor di più è connesso al moto di dignità con cui la comunità nazionale reagì per liberare il paese dal giogo oppressivo delle mafie», spiega Mattarella.

«Borsellino e Falcone avevano dimostrato che la mafia poteva essere sconfitta. Il loro esempio ci invita a vincere l’indifferenza, a combattere le zone grigie della complicità con la stessa fermezza con cui si contrasta l’illegalità, a costruire solidarietà e cultura dove invece le mafie puntano a instillare paura».

«In questo anniversario, desidero rinnovare i sentimenti di cordoglio e vicinanza ai familiari di Paolo Borsellino e degli altri servitori della stato che pagarono con la vita la difesa della nostra libertà», conclude Mattarella.

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