Meloni gigante circondata da nani?

Secondo un luogo comune – oggi usa dire narrazione – largamente accreditato, Meloni si ergerebbe come un gigante circondato da nani. Come se costoro fossero calati da un altro pianeta. Oso dissentire. Penso in primo luogo alla sua ambigua, contraddittoria postura. Non da statista, ma da capo fazione. È nella sua intima, invincibile natura. Come asseriva Bobbio, solo indagando la vera natura di un politico si possono decifrare i suoi effettivi orientamenti politici. Basti notare come, anche nelle occasioni più istituzionali, Meloni non riesca a trattenere l’istinto di imbastire mediocri polemiche contro gli avversari. A che pro? Possibile non comprenda che per un premier è una diminutio?

Si consideri poi il profilo politico-culturale dal quale non le riesce di emanciparsi: la subcultura di una destra nazionalista, populista, provinciale. Quali i suoi cespiti culturali, le esperienze e le relazioni che hanno forgiato la sua visione, ammesso che ne abbia una? Una biografia, la sua, tutta interna agli angusti confini di un partito nostalgico e marginale. Con ciò che ne consegue ovvero la nota sindrome che si concreta nel circolo vittimismo-rivalsa-bramosia di potere. Nonché il familismo figlio di un orizzonte “clanico” ed espressione di insicurezza frammista a diffidenza per chi sta fuori da quei ristrettissimi confini. Al più, si può convenire che la premier abbia acquisito un certo professionismo politico ma, ripeto, nell’accezione ridotta alle logiche di partito. La responsabilità di governo dello Stato esige ben altro.

Si narra di un apprezzato status internazionale della Meloni. Ce lo raccontano in Italia e si finisce per dargli credito. Intanto va detto che, a chiunque rappresenti l’Italia, per definizione, si fa un’apertura di credito. Fa parte delle più consolidate convenzioni tra paesi non in conflitto aperto. Tanto più se, come nell’attuale congiuntura bellica, si rinuncia programmaticamente a una pur minima autonomia dagli Usa.

A chi si acconcia a una posizione sdraiata tutto si perdona. Ma, a ben vedere, in Europa Meloni è circondata da malcelata diffidenza specie a Parigi, a Berlino, a Madrid. I nostri partner naturali con i quali i rapporti sono invece a dir poco freddi e talvolta conflittuali. Ancora, si trascura che, pur con i suoi limiti, lo Stato vanta risorse strutturali, pratiche e simboliche che assicurano supporto a chiunque, pro tempore, siede a palazzo Chigi. Un’armatura istituzionale che sorregge e “pilota” anche i più inesperti. Infine, ad avallare la narrazione dalla quale abbiamo preso le mosse, decisivo è il contributo di una informazione nostrana contrassegnata da un impressionante tasso di servilismo. Specie le tv nazionali, sei su sette asservite al governo.

Solo un certo snobismo può condurre a sottovalutare la persistente centralità del mezzo televisivo nel forgiare il consenso. E comunque, per quanto i giornali contino poco, basti notare che, a fronte della corazzata sempre più agguerrita e compatta delle testate di destra nelle mani di un medesimo editore (Angelucci), c’è chi, senza arrossire, ha l’ardire di sostenere che la sinistra disporrebbe dell’Unità e del Riformista (editati entrambi dall’imprenditore Romeo, sic), nonché della Repubblica di proprietà della famiglia Agnelli. Pretendendo che noi si dia credito a tale mistificazione. In questo panorama dell’informazione, si spiega che Meloni passi quasi per statista. Ne abbiamo avuto un saggio nella conferenza stampa di inizio anno, ove, salvo rare eccezioni, le domande dei giornalisti erano per lo più compiacenti assist offerti alla premier.

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