Mentre il Pnrr arranca, rischiando di bruciare un’opportunità unica per rilanciare il paese e ridurre il gap nord-sud, la riforma sull’autonomia differenziata, che, al contrario, mira ad aggravarlo, va avanti spedita e senza guardare in faccia nessuno. «È un progetto che stiamo portando avanti da anni», dice il leghista Luca Zaia. Con un obiettivo dichiaratamente federalista, costi quel che costi, e ad esclusivo vantaggio di una forza minoritaria che, sull’approvazione di questa riforma, ha fondato il patto di governo e la sua stessa sopravvivenza. Perché questa è la partita: non gli interessi del nord, men che meno quelli del paese. Se n’era accorta finanche Confindustria, chiedendo (inascoltata) un supplemento di riflessione almeno su quelle materie – come commercio e reti infrastrutturali – il cui spezzettamento rischia di tradursi in un boomerang per economia e imprese.

Ma già Banca d’Italia, Corte dei conti e Svimez avevano sollevato l’allarme sui rischi per la garanzia dei diritti, sociali in primis, e per la tenuta dei bilanci pubblici. Perché, prima che i diritti e le casse delle regioni più deboli, a essere eroso è proprio il bilancio dello Stato, con la paralisi delle funzioni, perequative e non, che gli sono attribuite. Critiche ribadite, dati alla mano, dal servizio bilancio del Senato, il cui dossier, già pubblicato, è stato prontamente degradato a «nota provvisoria e non verificata».

Una censura che non potrà smentire il report sull’Italia pubblicato mercoledì dalla commissione Ue che commentando la legge sognata da Calderoli, evidenzia il rischio di pregiudicare «la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica» e garantire «gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa», con un «impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche italiane e sulle disparità regionali», con buona pace del Pnrr. Se uno stato debole serve a pochi (noti), uno stato vuoto non serve a nulla.

Men che meno a cittadini italiani che, vessati da anni di crisi, hanno a cuore solo poche priorità: salute, lavoro, istruzione, più quel minimo di certezze su cui costruire il proprio futuro. Sono gli stessi diritti per cui, se la riforma passasse, verrebbero a mancare le risorse con conseguenze drammatiche, soprattutto al sud. Ma non solo, anche per far sì che, alla prossima emergenza ambientale, o di altra natura, lo stato disponga di fondi adeguati ad assicurare soccorsi e ricostruzione. Entrambi, doveri di solidarietà inderogabili, qualunque sia il territorio colpito o la crisi da affrontare, e perché nessuno possa arrogarsi il potere di distinguere, a monte, fra «sommersi e salvati». Ovvero: nessuno si salva da solo, tranne la Lega.

 

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