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La leader di Fratelli d’Italia ribadisce il suo europeismo «confederato» e lancia il partito come interlocutore credibile per i conservatori internazionali. Obiettivo: ottenere definitivamente la leadership del centrodestra.
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«Io vengo da una generazione che ha ballato sulle macerie del Muro di Berlino perché era la nascita dell'Europa unita», ha detto Meloni, fissando due punti centrali: una Italexit «non è un’opzione sul tavolo» ma che lei crede in un «modello confederale» in cui l’Europa si occupa dei grandi temi in cui gli Stati sono insufficienti in un mondo globalizzato ma non delle minuzie.
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Ad Atreju Meloni «lancerà la sfida politica e programmatica per il governo della nazione». E le parole d’ordine per candidarsi di fatto alla leadership del centrodestra saranno europeismo confederato, legge elettorale maggioritaria e, neanche a dirlo, conservatorismo. Con buona pace del sovranismo e soprattutto di Salvini, che sta vivendo la sua ora più difficile.
La mutazione di Giorgia Meloni da sovranista in conservatrice istituzionale è compiuta e a benedirla c’è un officiante d’eccezione: il ministro della Cultura Dario Franceschini. Il contesto dell’incontro è quantomai cordiale: la presentazione del libro La variante Dc del deputato azzurro, Gianfranco Rotondi. Per l’occasione, il fiero ex democristiano ha l’intuizione diabolica di mettere accanto due ospiti che in teoria dovrebbero essere opposti e nella realtà, pur da posizioni diverse, si dan



