La zietta più amata del Regno Unito è in serio pericolo, e con lei la libertà di informazione. «Auntie», zietta: così è soprannominata la Bbc e cioè il servizio pubblico radiotelevisivo britannico, la cui nascita risale precisamente a un secolo fa. Fa scuola dal 1922, e da almeno un decennio viene presa a spallate. Ma a darle il colpo più serio è il governo di Boris Johnson: proprio nel momento di massima fragilità dei media, il supporto pubblico per la Bbc è a rischio.

Attacco alla Bbc

Da quanto il premier britannico è ostaggio degli oppositori del suo stesso partito, il governo a trazione conservatrice sta realizzando ciò che già i predecessori avevano tentato di fare, in modo più limitato: tagliare il finanziamento all’ente audiovisivo pubblico. L’attacco punta in direzione della «licence fee», la «tassa di licenza», cioè il canone, che è la principale fonte di sostentamento della British broadcasting corporation. Per il momento, chiunque guardi la tv, o scarichi i programmi della Bbc, anche su telefonino o pc, insomma su qualsiasi dispositivo e non importa se in diretta o on demand, deve pagare 159 sterline (circa 190 euro) all’anno. Solo in piccola parte, la rete si autofinanzia attraverso le attività commerciali di tre sussidiarie – Bbc studios, global news e studioworks – e quindi ad esempio vendendo i propri programmi su scala internazionale. Ma i ricavi complessivi della «auntie» sono garantiti per oltre il 74 per cento dal canone.

Il primo a prendere di mira il supporto alla Bbc è stato il conservatore David Cameron, il cui governo, nel 2010 in coalizione coi liberaldemocratici e dal 2015 monocolore, ha condotto politiche di austerità. I tagli della spesa pubblica portati avanti durante i suoi due mandati sono stati tali da far concludere agli stessi americani che «la Gran Bretagna somiglia sempre più agli Stati Uniti e sempre meno al resto d’Europa», come ha scritto Peter Goodman sul New York Times. Lo stile si è visto anche nell’approccio ai media pubblici: l’erosione al finanziamento pubblico della Bbc comincia proprio con Cameron. Prima ancora di andare al governo, nel 2009, da leader dei conservatori insiste per congelare il canone (a 139 sterline invece che 142) e avverte che se andrà al potere la tassa sarà pure sforbiciata. Diventato premier, procede al taglio. Ma siccome la «auntie» è assai apprezzata – un recente sondaggio Ipsos dice che otto britannici su dieci la considerano efficace nell’informare – Cameron sceglie la via di attacco indiretta: visto che all’epoca gli over 75 sono esonerati dal canone, il governo dal 2015 nega la copertura finanziaria che fino ad allora aveva compensato per la Bbc gli introiti in meno; al punto che nel 2019 è la Bbc stessa a dover eliminare il benefit per i più anziani.

Il governo Johnson va molto oltre. A gennaio Nadine Dorries, ministra della Cultura, ha fatto intendere quali siano i piani: ridurre il canone dal 2024, mentre se si seguisse l’inflazione dovrebbe semmai aumentare già da questo aprile. Poi nel 2027, dopo una sforbiciata triennale e quando la Bbc dovrà rinegoziare con il governo i finanziamenti, non ci sarà più la «auntie» come la abbiamo conosciuta finora. Per tutto l’inverno Dorries ha lanciato segnali che vanno in direzione di uno smantellamento dei fondi pubblici: al congresso dei conservatori di novembre, andava a dire che «i giorni in cui facciamo concessioni sono finiti, serve un vero cambiamento». Il piano della ministra per togliere supporto al servizio pubblico è condito di retorica populista: «Basta coi processi a chi non paga il canone, basta controlli porta a porta!».

Media e americanizzazione

«Anche se nel 2027 il canone non dovesse essere abolito del tutto, certo è che la questione è sul tavolo, e non lo è solo oggi ma da dieci, se non quarant’anni», dice l’esperta di media Emily Bell. Dirige il Tow center for digital journalism alla scuola di giornalismo della Columbia, ed è stata invitata giovedì dal Presseclub Concordia di Vienna a dire la sua sul futuro della Bbc. Il più grande timore di Bell è che proprio mentre gli Stati Uniti sono costretti a prendere atto delle distorsioni del loro sistema mediatico, l’Europa si metta a imitarli. «Negli Usa vediamo quanto siano interconnesse crisi mediatica e politica», dice. Il punto è che laddove non ci sono più fondi pubblici a garantire qualità e pluralismo dell’informazione, ci sono sempre meno argini alla polarizzazione e al populismo. «Sappiatelo: il populismo è estremamente profittevole», avverte Bell. In America oggi «si convive con la preoccupazione che il partito repubblicano neghi la verità e legittimi la violenza come forza espressiva. Se puoi avere una insurrezione nel cuore di Washington, puoi averla ovunque. Per prevenire queste derive bisogna persuadere la gente a pensare anche in modi diversi, ma questo è un lungo lavoro». Un lavoro che una tv senza sostegno pubblico farebbe assai più fatica a svolgere.

Un secolo fa, John Reith, il calvinista che è stato il primo manager della Bbc, aveva immaginato una radio ben distante dai modelli statunitensi fatti per attirare più pubblico e quindi più introiti pubblicitari. Da più di vent’anni, è cominciata la graduale privatizzazione di alcuni comparti della Bbc. I cambiamenti tecnologici, compreso il successo di piattaforme streaming come Netflix, hanno sottoposto il servizio pubblico a un ulteriore scossone. La commissione di inchiesta sulla Bbc appena inaugurata alla camera dei Lord parte proprio da questi presupposti: «Il panorama mediatico cambia rapidamente, con competizione intensa, costi di produzione che aumentano e diverse abitudini di consumo», dice la baronessa Tina Stowell, che la presiede. Il punto è che però da questi presupposti trae la conclusione che «va indagato come la Bbc andrà finanziata in futuro per continuare a svolgere il suo ruolo», il che conferma che il modello attuale, con un forte sostegno pubblico, è a rischio.

Una questione europea

«Proprio in una fase come questa, è fondamentale che il servizio pubblico, e il supporto pubblico, non vengano ridimensionati», dice Roberta Carlini, ricercatrice del Centre for media pluralism and media freedom (Cmpf). «Invece la tendenza nell’ambito audiovisivo, a livello europeo, è quella di una progressiva erosione delle risorse pubbliche». La percentuale di finanziamento pubblico sul totale dei ricavi è del 70 per cento per l’Italia, su una media del 79 per cento nell’Unione europea. Da noi la cifra è in calo dal 2016. A condizionare la effettiva indipendenza del servizio pubblico subentra anche un altro fattore: «La stabilità o meno dei finanziamenti - il fatto che possano variare di anno in anno – ha anch’essa un impatto», precisa Carlini. Non a caso l’Italia, che non ha la «zietta Bbc» ma ha «mamma Rai», è tra i paesi ad alto rischio in fatto di indipendenza del servizio pubblico, secondo il monitor annuale sul pluralismo elaborato dal Cmpf su scala europea. Peggio di noi, in Ue, solo Polonia, Malta, Slovenia e Romania. La Germania è tra i paesi esemplari in positivo, invece. Il finanziamento pubblico ideale per una tv deve avere almeno tre caratteristiche: deve essere adeguato, stabile, e anche assegnato con criteri trasparenti, senza discrezionalità da parte del governo. C’è poi un altro elemento: la concorrenza. La Commissione europea, che sta elaborando uno European Media Freedom Act, e cioè una proposta legislativa che ha come missione dichiarata la libertà dei media, ha da sempre un approccio legato proprio alla competitività. C’è il rischio che anche questo orientamento possa spingere verso ulteriori privatizzazioni? Risponde Emily Bell: «La privatizzazione è un tema che riguarda tanto il Regno Unito, quanto l’Ue, potenzialmente. Penso che privatizzare alcuni asset sia davvero uno scenario preoccupante. Vedremo i dettagli della proposta Ue, che ancora è da formulare. Intanto metto in guardia su una cosa: la narrativa che la privatizzazione porti benefici è fuorviante. Pensate a Facebook o Google: predicavano la libertà di mercato, e ora è tutto in mano loro. Uno dei motivi per i quali sono più scettica sulla privatizzazione del servizio pubblico è che una volta iniziato è difficile tornare indietro».

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