Nel più grande stato dell’India meridionale, il Karnataka, il governo locale oggi ha preso una decisione: gli abitanti potranno seppellire i propri cari, o spargerne le ceneri, nei propri terreni. La sepoltura fai da te, con tanto di linee guida su come metterla in pratica, è solo uno dei provvedimenti di emergenza di un paese sfiancato da Covid-19: i luoghi di sepoltura pubblici sono ormai saturi, l’India affronta ora la sua crisi più grave dall’inizio della pandemia. Soltanto un paio di mesi fa, la situazione epidemiologica sembrava sotto controllo, i contagi erano in calo; a fine gennaio gli esperti avevano persino ipotizzato che nelle grandi città si stesse raggiungendo l’immunità di gregge. E invece nelle ultime settimane la curva dei contagi si è impennata verso l’alto: quasi una retta verticale, che fa di questo paese quello che al momento ha un più rapido aumento di contagi al mondo. Il 21 aprile sono stati registrati circa 315mila nuovi casi e 2.100 decessi giornalieri, dati record per l’India dall’inizio dell’epidemia. I numeri vanno letti tenendo in considerazione che il paese è densamente popolato, da più di un miliardo e trecentomila persone, ma c’è il sospetto che siano sottodimensionati rispetto alla realtà: nella più popolata città del Madhya Pradesh, per esempio, il numero di morti da Covid registrati nei crematori è 24 volte superiore al dato ufficiale dei decessi. Come mai la situazione è peggiorata così rapidamente?

La variante

Gli scienziati l’hanno rintracciata già a dicembre nello stato di Maharashtra, il governo indiano l’ha segnalata ufficialmente il 24 marzo: “B.1.617”, nota anche come la variante indiana, è ormai dominante nel paese. Proprio nella seconda metà di marzo i contagi hanno cominciato ad aumentare. Anche se i dati e gli studi sono in evoluzione, la comunità scientifica osserva che le mutazioni in questione comportano maggiore trasmissibilità, maggiore letalità e compromettono la piena efficacia degli attuali vaccini. I giovani affollano gli ospedali di Nuova Dehli, nessuna fascia di età è indenne alla variante. Danny Altmann dell’Imperial College di Londra si è detto «estremamente preoccupato» ora che le prime decine di casi di variante indiana sono state individuate nel Regno Unito; nonostante nel Regno Unito le vaccinazioni procedano rapide, il timore che la variante sia parzialmente resistente al vaccino agita Boris Johnson: ha pure annullato il suo viaggio in India.

Sanità al collasso

«Abbiamo quasi battuto la pandemia, sta per finire», dichiara a inizio marzo il ministro della Salute indiano, Harsh Vardhan. Pochi giorni prima, a febbraio, le autorità annunciano le elezioni in alcuni stati chiave. Mentre la variante già circola ma il disastro non è ancora così evidente come oggi, continuano i matrimoni, gli eventi; nello stadio intitolato al presidente, Narendra Modi, a metà marzo centinaia di migliaia di persone, per lo più senza mascherina, assistono alle partite di cricket. Oggi il paese si ritrova con la sanità al collasso: le ambulanze arrivano troppo tardi, mancano i posti letto negli ospedali, mancano ossigeno, medicine, ventilatori. K M Gopakumar lavora per l’ufficio di Mumbai di Thirld World Network, alla domanda se la crisi abbia ragioni solo sanitarie o anche politiche risponde così: «La crisi è strutturale, perché il mio paese ha un sistema sanitario pubblico fragilissimo, soprattutto in confronto all’ampiezza della popolazione; dunque di fronte all’emergenza, le infrastrutture sono troppo limitate rispetto alle necessità; patiamo così gli effetti delle scelte fatte da una leadership neoliberista per anni, e che ora si traducono in un sistema al collasso».Come si spiega però la scarsità di farmaci, in un paese che prima della pandemia si era distinto come leader globale per la manifattura di farmaci generici e di vaccini? «La domanda aumenta rapidamente e non ci sono abbastanza medicine, come Remdesivir e Tocilizumab», dice Gopamakur: «Il governo sta chiedendo alle aziende un maggiore sforzo, ma serve qualche settimana, e inoltre non tutte le fabbriche possono produrre questi farmaci: ci sono i brevetti. Sette aziende indiane hanno ottenuto da Gilead la licenza per Remdesivir, un’altra ha fatto un accordo con Roche».

Scarsità e brevetti

Allo stesso modo funziona con i vaccini: il Serum Institute che è leader mondiale per capacità manifatturiera di vaccini ha ottenuto la licenza volontaria da AstraZeneca. L’India e il Sudafrica sono le promotrici dell’iniziativa sostenuta ora da 118 paesi in sede di Wto per derogare agli accordi sulla proprietà intellettuale Trips; significherebbe liberare brevetti, introdurre licenze obbligatorie, trasferire tecnologie, non solo per i vaccini, ma per farmaci, ventilatori e così via. Ma Usa, Ue, Canada e un pugno di paesi ricchi bloccano l’iniziativa. In India soltanto il nove per cento della popolazione ha già ricevuto una dose di vaccino. Per Gopamakur «i paesi occidentali hanno gravi responsabilità per la scarsità di farmaci, visto che non vogliono toccare i brevetti e concentrano la produzione in poche mani». Così la pensa lui da Mumbai; di ben altro parere è Berlino. Angela Merkel l’altro ieri ha dichiarato: «Se abbiamo permesso all’India di diventare un così grande produttore di farmaci è perché pensavamo che avrebbe assolto ai suoi obblighi; se così non è, dovremo ripensare la filiera».

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