Da giorni si sono intensificate le trattative sull’accordo sul nucleare iraniano. L’amministrazione di Donald Trump ha fretta di portare a casa un accordo, dopo gli insuccessi finora raccolti nella guerra in Ucraina e nel conflitto tra Hamas e Israele a Gaza.

In uno scenario di escalation continua in Medio Oriente, la priorità è evitare che il regime di Teheran costruisca la sua bomba nucleare. Il presidente degli Stati Uniti sta facendo pressioni su spinta anche del premier israeliano Benjamin Netanyahu che il 17 aprile ha ribadito: «Non permetteremo all’Iran di avere armi nucleari». Prima dell’annuncio della ripresa dei colloqui i funzionari della Casa Bianca erano preoccupati di un imminente attacco dello stato ebraico alle infrastrutture nucleari iraniane, rimaste fuori dai target militari dell’ultimo anno e mezzo.

La bomba atomica in mano all’Iran rischia di stravolgere gli attuali equilibri nati dopo il 7 ottobre del 2023 e permetterebbe a Teheran di avere un’arma militare ma anche politica non indifferente, dopo i duri colpi subiti dai suoi proxies in Libano (Hezbollah), Yemen (Houthi) e Gaza (Hamas).

Gli ultimi incontri

Un primo incontro sulle trattative si è tenuto a Mascate, nella capitale dell’Oman, lo scorso 12 aprileun secondo si terrà a Roma il 19 aprile. Non c’è ancora la conferma definitiva della sede, ma molto probabilmente i colloqui si terranno nell’ambasciata dell’Oman.

Negli ultimi giorni l’Iran ha intensificato i contatti con Russia e Cina, cercando supporto in vista dei negoziati. Il ministro di Teheran, Abbas Araqchi, ha ribadito nei giorni scorsi che l'arricchimento dell'uranio è un «diritto non negoziabile» per l'Iran. Ha aggiunto anche che raggiungere un accordo è molto complicato se non si allentano le pressioni internazionali.

Al suo interno il paese è diviso tra i progressisti che sperano in un accordo per allentare le sanzioni economiche e i conservatori guidati dall’ayatollah Khamenei e dai membri delle Guardie rivoluzionarie iraniane, convinti invece che l’accordo mini la sovranità nazionale.

EPA

Il 16 aprile il capo dell’Agenzia internazionale per l'energia atomica Rafael Grossi è stato in visita in Iran. Un incontro che non ha portato a progressi significativi, con Teheran fermo su posizioni rigide. Anche per questo sono state limitate le visite alle infrastrutture ad alcuni ispettori dell’Agenzia.

L’accordo del 2015

Dopo strenue trattative seguite soprattutto dall’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel luglio 2015 l'Iran e il gruppo P5+1 (composto dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania) firmarono il Joint comprehensive plan of action (Jcpoa).

L’accordo prevedeva che l’Iran limitasse il suo programma nucleare, riducendo le sue riserve di uranio arricchito e il numero di centrifughe operative, in cambio dell’eliminazione di alcune sanzioni internazionali. L'obiettivo era garantire che l'Iran non potesse sviluppare armi nucleari, mantenendo però la possibilità di utilizzare l'energia nucleare a fini civili.​

L'arricchimento dell'uranio è un processo che aumenta la concentrazione dell'isotopo U-235, necessario per la produzione di energia nucleare. Mentre un livello di arricchimento del 3-5 per cento è sufficiente per scopi civili, livelli superiori al 90 per cento sono considerati adatti per armamenti nucleari. Il Jcpoa limitava l'arricchimento dell'uranio iraniano al 3,67 per cento e imponeva un tetto di 300 kg sulle riserve di uranio arricchito.

Il recesso da parte di Trump

Nel maggio 2018 Trump annunciò durante il suo primo mandato il recesso unilaterale degli Stati Uniti dal Jcpoa. Secondo il tycoon è stato «uno dei peggiori e più sbilanciati accordi mai fatti dagli Usa». Trump criticò la mancata inclusione del programma missilistico iraniano nell’accordo e altre attività regionali del paese.

Dopo il ritiro degli Stati Uniti, l'Iran iniziò a non rispettare i limiti imposti dall’accordo raggiunto nel 2015. Secondo l’Agenzia internazionale per l'energia atomica lo scorso febbraio l’Iran aveva poco più di ottomila chilogrammi di uranio, arricchito fino al 60 per cento. Oltre la metà di quello necessario per avere la capacità di costruire la bomba atomica.

Perché l’Oman?

L’Oman è il paese chiave in questa fase delle trattative. Gode sia della fiducia di Teheran sia di quella di Washington perché considerato un paese neutro a differenza di altri stati arabi nell’area come il Qatar e l’Arabia Saudita che si contendono l’egemonia con l’Iran. A differenza degli altri paesi del Golfo Persico, l’Oman ha cercato sempre di mantenere buoni e stabili rapporti diplomatici con il paese degli ayatollah.

Il sultanato, infatti, ha già facilitato in passato lo storico accordo del 2015 raggiunto a Vienna. In queste settimane a mediare tra Stati Uniti e Iran è il ministro degli Esteri in persona, Badr al Busaidi. Le delegazioni di Washington e Teheran mediano ancora in maniera indiretta attraverso la figura di Busaidi, un segnale emblematico di come siano ancora tesi i rapporti.

© Riproduzione riservata