La partita per le presidenziali in Turchia è ancora aperta. Il paese andrà al ballottaggio il 28 maggio, ma il conteggio dei voti del primo turno non è ancora davvero terminato. Il presidente uscente ha superato l’opposizione ottenendo il 49,5 percento delle preferenze, mentre la sua Alleanza ha guadagnato più della metà dei seggi del Parlamento.

Per l’opposizione però c’è qualcosa che non torna nel conteggio ufficiale dei voti. Secondo gli esponenti del partito repubblicano Chp e dei filo-curdi riunitisi sotto lo Yesil sol (Sinistra verde) nei verbali sarebbe stato riportato un numero maggiore di voti per i partiti della coalizione di governo, a discapito delle formazioni dell’opposizione.

Una denuncia che sembra trovare riscontro nel rapporto dell’Osce, uno dei pochissimi organismi autorizzati dal governo turco a monitorare la correttezza del processo elettorale nel paese.

Secondo l’Organizzazione, in almeno il 10 percento dei seggi sono state riscontrate delle irregolarità nella registrazione del voto e le elezioni non sono state né libere né eque anche a causa della maggiore copertura dedicata al presidente. Il Chp intanto ha portato avanti il proprio conteggio dei voti grazie ai rappresentati presenti nei diversi seggi del paese la notte delle elezioni e ha chiesto al Consiglio elettorale supremo di ricontrollare il risultato di almeno 4mila postazioni.

Questa operazione non dovrebbe cambiare di molto gli equilibri tra le forze in campo o il numero di parlamentari, ma per l’opposizione è importante dimostrare che il clima in cui si sono svolte queste elezioni non è stato per loro favorevole e che nonostante ciò sono riusciti a mettere in difficoltà un presidente che da anni sembrava invece intoccabile.

A far nascere dei sospetti è stato in particolare il risultato raggiunto dal partito ultra-nazionalista Mhp nelle regioni a maggioranza curda e roccaforti del partito filo-curdo Hdp, confluito in queste elezioni sotto il simbolo della Sinistra verde. Nelle principali città dell’area, gli ultra-nazionalisti sono passati dal 3,7 percento delle urne del 2019 al 16,6, un risultato che convince ben poco l’opposizione e che fa sorgere sospetti sul reale sostegno ottenuto da Mhp.

Alcuni elettori però hanno effettivamente sostenuto il presidente uscente e la sua coalizione. «Ho votato per Erdogan e lo rifarò al ballottaggio», afferma per esempio Erdem, proprietario di un bar del centro di Diyarbakir, capitale curda. «Ha saputo gestire bene l’economia. È grazie a lui se questa città è cresciuta così tanto», afferma. Per il piccolo imprenditore ciò che conta è la prosperità della propria attività, più che le promesse di riforme parlamentari e di maggiori diritti.

Il secondo turno

In attesa del ballottaggio, i due candidati devono affrontare una seconda campagna giocata ancora una volta da posizioni di partenza molto diverse. Erdogan può contare sui fondi ingenti e su una copertura mediatica nettamente superiore rispetto al suo sfidante, ma ha anche cercato di utilizzare il suo potere per arginare i voti dell’opposizione provenienti dall’estero.

Il Consiglio elettorale supremo aveva inizialmente ridotto a due i giorni in cui i cittadini avrebbero potuto votare in Usa, Canada, Australia, Irlanda e Regno Unito, tutti paesi in cui il Chp ha ottenuto il numero maggiore di preferenze.

Alla fine, il Consiglio ha accettato il ricorso del partito repubblicano ed esteso a 5 i giorni utili per votare, ma la mossa del presidente ha allarmato non poco l’opposizione. Mentre Erdogan passava all’attacco, il leader del Chp Kemal Kilicadaroglu ha licenziato Onursal Adiguzel, vicepresidente del partito a cui era stato affidato il compito di monitorare attraverso un particolare software il conteggio dei voti per evitare frodi da parte del governo.

Il sistema però si è rivelato fallimentare: i dati forniti da Adiguzel e dal suo team hanno dato Kilicadaroglu per vincente per diverse ore, tanto che i sindaci di Istanbul e di Ankara, candidati vicepresidenti, hanno pubblicamente messo in discussione la validità delle informazioni ufficiali e annunciato una vittoria che non c’è mai stata. Kilicadaroglu però non sembra avere ancora una strategia precisa per questa seconda fase. A differenza di Erdogan ha atteso diverse ore prima di rilasciare una dichiarazione ufficiale sull’esito del voto e nei giorni successivi i video diffusi sui social sono stati ben poco incisivi.

Nel frattempo, il partito ha deciso di dare maggiore visibilità al sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, e a Canan Kaftancioglu, la presidente della sezione di Istanbul, volto noto dell’opposizione a Erdogan e condannata per un tweet contro il presidente. Per Kilicdaroglu e i suoi è adesso fondamentale mantenere alto il morale dei propri elettori e valutare attentamente le prossime mosse.

L’opposizione dovrà prima di tutto scegliere se allearsi con Sinan Ogan, candidato nazionalista che ha ottenuto il 5 percento delle preferenze e che ha posto come condizione per il suo sostegno l’allontanamento dall’alleanza dei filo-curdi. Ma non è detto che i suoi elettori, tendenzialmente più vicini a Erdogan, rispettino le indicazioni di voto di Ogan.

Il rischio per Kilicadaroglu è di barattare il sostegno dell’elettorato curdo con un bacino di voti incerto. Gli effetti di un’alleanza con Ogan però sono difficili da prevedere. Per Gulsen, attivista curda di Diyarbakir, l’importante è mandare via Erdogan, anche a costo di votare un candidato che ha il sostegno di Ogan.

«La politica funziona così e poi non è detto che Ogan non si ricreda. Anche il Buon partito, alleato del Chp, era contro di noi, ma alla fine ha accettato il nostro sostengo». Il vero problema resta la sfiducia tra gli elettori. «Io andrò a votare, ma mia madre no. Secondo lei ormai abbiamo perso», aggiunge Gulsen. Anche per Osman, libero professionista di Istanbul, l’esito di queste elezioni sembra già scritto. «Sosterrò Kilicadaroglu, ma non credo servirà a molto».

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