Ragazzina milanese fuggita dalle leggi razziali e dalla Shoah, raffinata giornalista per l’Ansa da Buenos Aires, madre della desaparecida Franca Jarach e tra le maggiori a Plaza de Mayo, instancabile, è morta a 97 anni
Vera Vigevani, scomparsa venerdì a Buenos Aires, era nata a Milano nel 1928. È una ragazzina di classe media. Scopre di essere ebrea quando non le permettono più di andare a scuola, cacciata dalla sera alla mattina dalle leggi razziali volute dal fascismo e controfirmate dal re Savoia.
Il papà, Vittorio, era stato cavaliere di Vittorio Veneto, e mutilato nella prima guerra mondiale. L’Italia che li ripudiava non era più quella che aveva riconosciuto alla comunità ebraica l’uguaglianza, la cittadinanza piena. Non era più quella che aveva abbattuto i ghetti, meritando la lealtà di chi vedeva nella nazione la prosecuzione ideale del Secolo dei lumi.
Se il nonno, Ettore Camerino, fu deportato ad Auschwitz, Vittorio scelse di esiliarsi con la famiglia oltremare, nell’Argentina degli anni Trenta. Allontanò così, ma solo di una generazione, il mostro del fascismo e del Terrorismo di Stato, che nel 1976 si sarebbe portato via la nipote Franca Jarach, appena diciottenne e ancora oggi detenuta desaparecida.
«Italia Libera»
In un archivio bonaerense, chi scrive trovò la lettera di Vittorio con la quale nel 1943 chiedeva l’iscrizione a “Italia Libera”, disposto a tornare a combattere contro il fascismo. Al riceverla Vera ricordò commossa di quando nel 1939 la nave lasciava il porto di Genova. Il padre, guardando la costa scomparire, gridò tre volte, nonostante tutto, «Viva l’Italia».
A Buenos Aires, Vera, studentessa eccellente, vuol continuare a studiare, ma trova la porta chiusa. La ammettono solo in un “Liceo per signorine”, perché il liceo più prestigioso del paese accetta ancora soli uomini. Quindi entra all’Ansa dove, sempre da Buenos Aires, lavora per tutta la sua carriera professionale.
Sposa Jorge Jarach, di origine istriana e nel 1957 nasce Franca, alla quale di recente Carlo Greppi ha dedicato una biografia in italiano. Franca fa in tempo a dimostrarsi brillante, e a frequentare quello stesso liceo che aveva rifiutato la mamma solo perché donna.
Il 25 giugno del 1976, tre mesi dopo il golpe che tanti legami ha con l’Italia più nera, Franca scompare.
Il sequestro
Ci vogliono decenni di ricerche, porte sbattute in faccia, e minacce da parte dei carnefici. Saprà che Franca fu sequestrata alla ESMA, il campo di concentramento della Marina in piena capitale, e che il suo destino fu il volo della morte.
Il nonno passato per un camino di Auschwitz, la figlia lanciata viva nella confluenza tra il Río de la Plata e l’Atlantico Sud; nessuna tomba dove portare un fiore.
È quel giorno, come per tante donne che saranno protagoniste dell’epopea delle Madri di Plaza de Mayo, che per Vera comincia un’altra vita, di lotta per la verità e la giustizia, che lei coniuga soprattutto come ricerca e testimonianza.
È infaticabile nell’associazionismo per i diritti umani, in fondazioni e istituzioni per la memoria, anche in età avanzatissima, spendendosi sia in Italia che in Argentina.
Contro i mostri del presente
Ciò col paradosso che fino al 2023 rimane solo cittadina italiana. Quell’anno, dopo oltre ottant’anni di residenza, si fa argentina per votare contro quel Javier Milei nel quale vede incarnati i mostri del passato.
Delle molte sigle del mondo dei diritti umani in Argentina Vera diventa uno dei volti in prima linea e tra i principali, con Lita Boitano, scomparsa pochi mesi fa, a farsi costantemente presente in Italia.
Negli anni la lavoratrice intellettuale Vera Vigevani, intuisce che il cuore di tutto è nella trasmissione della memoria e si spende nelle scuole quasi fino a ieri incontrando le nuove generazioni di entrambi i paesi.
«Mai più»
Nel comune di Diano San Pietro, provincia di Imperia, esiste dal 2016 una piazza intitolata a “Ettore Camerino e Franca Jarach, vittime delle dittature nazifasciste e civico-militare argentina”.
È il filo che accomuna il nonno Ettore e la figlia Franca, che Vera leggeva chiaro come intellettuale e ha vissuto in carne propria come essere umano.
Nel suo ultimo messaggio, diffuso ancora questa settimana con la voce malferma ma la testa sempre lucida, nel solidarizzare, lei ebrea, con il popolo palestinese, invita a trasmettere la memoria e come prima cosa la parole d’ordine del “Nunca más” (mai più): mai più fascismo, mai più dittature.
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