La vicenda del 48enne fatto nascere nel centro di sterminio di La Escuelita riapre la pagina nera dei figli dei desaparecidos rapiti dai militari. La sorella lo aveva cercato per tutta la vita e aveva documentato questa sua ricerca attraverso un blog in cui a ogni compleanno gli si rivolgeva con una lettera. «Finalmente ha potuto leggerle»
Buenos Aires – Crescere senza un’identità. O meglio: crescere pensando di essere una persona e scoprire, a 48 anni, che quelle che ti sono state raccontate, sono tutte bugie. È ciò che è accaduto in questi giorni a uomo argentino, fatto nascere in un centro clandestino di tortura e rapito nel 1977 a Buenos Aires, negli anni della dittatura militare di Videla.
A ritrovarlo sono state le Abuelas de Plaza de Mayo, le nonne che da oltre 40 anni ricercano i loro nipoti, i figli dei desaparecidos argentini che durante il regime sono stati rapiti e fatti sparire dai soldati di Videla. I suoi genitori si chiamavano Graciela Alicia Romero e Raúl Eugenio Metz e sono stati sequestrati dai militari quando avevano rispettivamente 25 e 24 anni. Entrambi erano giovani militanti che lottavano contro la dittatura di Videla, quando Graciela è stata sequestrata dai militari era incinta di 5 mesi. Ancora oggi i due giovani sono desaparecidos, ma grazie a varie testimonianze si è saputo che Graciela è stata tenuta in vita fino al momento del parto e suo figlio è stato fatto nascere nel centro di tortura e sterminio “La Escuelita”, nella città argentina di Bahía Blanca.
I figli dei desaparecidos
Durante gli anni della dittatura almeno 30.000 cittadini sono stati fatti sparire: sequestrati, torturati e uccisi nei centri clandestini di tortura, buchi neri che erano stati costruiti in ogni angolo del Paese in quegli anni. Ma ai soldati del regime non bastava e così hanno architettato un piano diabolico e perverso: rapire i figli dei desaparecidos e crescerli in famiglie di militari o vicini alla dittatura, per estirpare da loro il “germe” della rivoluzione, educando nuovi cittadini perfetti per lo Stato che stavano creando.
Il piano del regime è stato segreto per anni e chi diceva che i figli dei desaparecidos venivano rapiti da famiglie di militari, veniva bollato come pazzo o come terrorista.
I bambini però, soprattutto i neonati, continuavano a sparire. E arrivavano sempre più testimonianze, da quei pochi sequestrati che riuscivano a sopravvivere ai centri di tortura, che le donne incinte che venivano rapite dai militari venivano tenute in vita fino al momento del parto e che il bambino appena nato veniva portato via dai soldati.
La battaglia delle abuelas
A sospettare fin dal primo momento del piano segreto del regime sono state le nonne di quei bambini. Donne che nella maggioranza dei casi non avevano una preparazione politica, erano casalinghe o maestre, che dal momento della sparizione dei propri figli avevano iniziato a fare un pellegrinaggio silenzioso fra i tribunali e le caserme militari, luoghi dove ricevevano sempre la stessa risposta: «Non abbiamo idea di dove sia suo figlio e se è sparita anche sua nipote, saranno stati i guerriglieri a rapirla. Noi non ne sappiamo nulla».
Le nonne però non hanno creduto a quelle bugie e nel 1977, si sono riunite in un’associazione che hanno chiamato Abuelas de Plaza de Mayo, il nome della piazza in cui le madri e le nonne si riunivano per fare le ronde durante cui chiedevano di sapere dove fossero finiti i desaparecidos. Le Abuelas si sono trasformate in detective, hanno creato strumenti di genetica e giuridici con cui hanno iniziato una ricerca instancabile dei loro nipoti che va avanti da più di 40 anni.
Quando ritrovano un nuovo nipote, le Abuelas convocano sempre una conferenza stampa in cui danno la notizia. A tenere la conferenza per il 140esimo nipote ritrovato è stata – come sempre – Estela Carlotto, presidente e simbolo delle Abuelas. Seduta accanto a lei c’era Adriana, sorella del nipote ritrovato che – come ha spiegato Estela – lo ha cercato “sempre e da sempre”.
Adriana Metz è da moltissimo tempo parte delle Abuelas e per anni ha scritto un blog dedicato al fratello scomparso. Per ogni suo compleanno gli scriveva delle lettere e in ogni pubblicazione parlava direttamente con lui, spiegando tutto quello che stava facendo per ritrovarlo. «Pochi giorni fa, quando hanno comunicato a mio fratello la sua vera identità – ha spiegato Adriana – ha trovato anche il mio blog e, finalmente, ha potuto leggere le lettere che gli ho scritto per anni».
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