La foto di Faiz Hameed, il direttore dei servizi segreti pakistani (Inter-Services Intelligence, Isi), che prende il caffè all’hotel Serena di Kabul ha fatto il giro del mondo. Le prime parole, rilasciate con un sorriso alla giornalista che gli chiedeva quale fosse la sua visione per il futuro dell’Afghanistan, sono state: «Don’t worry, everything will be ok».

Faiz Hameed non è stato colto di sorpresa dai fotografi né tantomeno ha improvvisato le sue risposte alla stampa. L’esposizione mediatica era calcolata dall’Isi per dare un messaggio rassicurante in una fase delicatissima della formazione dell’esecutivo ad interim dell’Emirato islamico. Islamabad aveva informazioni preoccupanti sulle fratture interne al movimento talebano, con la rete Haqqani e gli esponenti meridionali del mullah Baradar ai ferri corti per la spartizione degli incarichi. Quelle poche parole sibilline concesse ai giornalisti erano mirate a garantire la stabilità del nuovo regime e il ruolo di mediazione esercitato dal Pakistan.

Faiz Hameed è stato dipinto come il grande tessitore della trama che ha stravolto gli equilibri del paese al centro del “Grande gioco”. Il ruolo di Islamabad nell’offensiva militare talebana era noto, ma occorre non esagerare nel soppesare l’ascendente pakistano.

L’Isi ha certamente la capacità di influenzare specialmente la rete Haqqani, ma è lungi dall’averne il completo controllo. Poche ore dopo, Faiz Hameed è stato anche immortalato mentre pregava con il mullah Baradar e il capo negoziatore talebano di Doha. Successivamente ha incontrato gli esponenti dell’ancien régime: l’ex presidente Hamid Karzai e Abdullah Abdullah, asserragliati in un compound di Kabul e privati delle scorte personali. Un incontro riservato l’ha dedicato a Gulbuddin Hekmatyar, signore tribale veterano dei mujaheddin della fazione Hezb-e-Islami.

Uomo d’apparato

Il generale Hameed è nato in un villaggio nel nord del Punjab, non distante dal Kashmir conteso con l’India. Dopo una brillante carriera nell’esercito, in forza al prestigioso 16mo reggimento del Belucistan – regione che ospitava la Shura talebana di Quetta – è approdato all’Isi. Prima come capo del reparto controspionaggio e artefice di un accordo con i Talebani pachistani del Ttp, poi da giugno 2019 come ventiquattresimo direttore generale. Giusto in tempo per seguire le fasi finali dei negoziati di Doha tra la Casa Bianca e l’Ufficio politico talebano. Proprio in occasione della firma dell’accordo con gli Stati Uniti, a febbraio 2020, il mullah Baradar subì forti pressioni affinché fossero invitati in Qatar anche Faiz Hameed e un altro generale dell’Isi.

Per ironia del destino, quegli stessi servizi pachistani che arrestarono Baradar nel 2010 a Karachi e lo rilasciarono nel 2018. La scarna biografia pubblica di Hameed impedisce di scrutare per ora una strategia personale, ma la sua azione si inserisce in linea di continuità con i precedenti direttori del servizio.

L’Isi è solo una delle tante agenzie di intelligence pachistane, ma si tratta senza dubbio della più potente, temuta e spietata. Altri servizi segreti, spesso in competizione tra loro, sono la Federal Investigation Agency (Fia), l’Intelligence Bureau, l’intelligence militare, quelle della marina e dell’aviazione.

La conflittualità era già emersa negli anni della latitanza di Osama bin Laden, in cui l’Isi aveva ottenuto carta bianca dal governo di Islamabad per gestire le ricerche con la Cia e l’Fbi. Le altre agenzie avevano ricevuto espressamente disposizioni di cedere tutte le indagini legate a terroristi arabi. L’Isi ha mantenuto un’ambiguità di fondo per due decenni, collaborando con gli Usa e tenendo un canale aperto con i Talebani.

Lo testimonia la storia dei predecessori di Hameed, a cominciare dal generale Hamid Gul, che diresse i servizi sul finire degli anni Ottanta ma continuò a manovrarli anche dopo l’invasione Nato dell’Afghanistan nel 2001. In particolare, Gul controllava occultamente il Direttorato S, una sezione deviata dell’Isi incaricata di operazioni coperte, che utilizzava gruppi jihadisti come Lashkar-e-Taiba per compiere azioni terroristiche in Kashmir, India e Afghanistan.

Diplomazia sotterranea

L’establishment politico-militare pakistano non ha mai fatto mistero di avversare il governo pro-occidentale di Ashraf Ghani e di sostenere il movimento talebano. In occasione della conquista di Kabul da parte delle milizie della rete Haqqani, esponenti di Islamabad hanno salutato la svolta come la naturale conclusione di un ciclo politico.

I Talebani pakistani del Ttp galvanizzati dalla vittoria in Afghanistan potrebbero tentare un’offensiva sul versante orientale dei territori tribali, contro Islamabad. In questo frangente l’Isi farà pressioni sugli Haqqani per frenare gli spiriti bellicosi. Secondo la Reuters, l’Isi intende inviare agenti per riorganizzare le forze armate talebane e l’intelligence affidata ad Abdul Haq Wasiq, ex detenuto di Guantanamo, sul modello pachistano.

Le spie di Hameed non sono le uniche a frequentare la capitale in questa fase: anche il direttore della Cia William Burns aveva incontrato segretamente il mullah Baradar durante la convulsa evacuazione occidentale per garantire una tregua nella ritirata. Emissari iraniani, russi, cinesi, turchi e qatarini hanno preso contatto con le varie correnti talebane per tutelare i propri interessi o guadagnare credito politico con il nuovo regime.

Il governo insediato a Kabul è un esercizio di equilibrismo, con la rete Haqqani che ha ottenuto il ministero dell’Interno e quello per i Rifugiati, assegnati a Sirajuddin e Khalil, ricercati dagli Stati Uniti per terrorismo. In questo contesto, il ruolo dei servizi pachistani guidati da Hameed sarà fondamentale per frenare i programmi sinistri di soggetti legati ad al Qaida.

 

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