Con un giorno di anticipo gli Stati Uniti d’America hanno completato il ritiro delle truppe dall’Afghanistan mettendo fine a 20 anni di conflitto e alla guerra più lunga della loro storia. I Talebani, di nuovo al potere dopo la cacciata nel 2001 da parte delle truppe Usa, sono in festa a Kabul e hanno sparato in aria per celebrare la partenza degli americani.

«È una vittoria di tutti gli afghani – hanno detto –  ora vogliamo buoni rapporti diplomatici con gli Usa». Ma in queste ore stiamo assistendo al potenziale inizio di un nuovo capitolo in Afghanistan che vede l’Isis Khorosan schierato contro il nuovo regime dei Talebani, una contrapposizione politica e militare per il controllo di parti del territorio afghano sempre più foriera di un’ondata massiccia di profughi verso l’Europa nei prossimi 6-12 mesi, che si andranno ad aggiungere ai 124mila cittadini occidentali già evacuati.

Se si avverasse questa contrapposizione sul terreno verrebbe meno anche la promessa dei Talebani di un ritorno alla sicurezza nelle strade del martoriato paese.

Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, per evitare assalti come quello del 1979 alla sede diplomatica a Teheran, ha spostato l’ambasciata americana da Kabul a Doha, in Qatar, sede dei negoziati di pace, e si è detto disponibile a lavorare con i Talebani «se manterranno gli impegni» assunti nei negoziati di Doha.

Il presidente Joe Biden è nel mirino dei repubblicani, che lo accusano di aver abbandonato circa 200 cittadini Usa. Ma il vero problema in Afghanistan, secondo le ultime stime rilasciate dal Pentagono, è che ci sarebbero almeno 2.000 combattenti “irriducibili” dell’Isis Khorosan, la filiale locale della multinazionale del terrore islamista che in questi giorni ha rialzato la sua terribile testa proprio a Kabul.

Che faranno gli Usa ora?

La comunità internazionale sta provando ad avviare un confronto con i Talebani con il governo Draghi, titolare della presidenza di turno, che sta cercando di far decollare l’approccio del cosiddetto G20 allargato, cioè con l’inclusione di quei paesi confinanti che potrebbero dare un contributo alla stabilità del paese sull’orlo di una crisi umanitaria.

La comunità internazionale sta cercando di trattare con i Talebani, lasciando nel cassetto per ora l’arma delle sanzioni e dell’isolamento economico, chiedendo il rispetto di linee rosse in tema di diritti umani, rispetto delle minoranze e dei diritti delle donne.

Nessun paese occidentale potrà dare un sostegno finanziario a un governo che decida ad esempio di fare esecuzioni sommarie di civili innocenti solo perché ritenuti “collaborazionisti” con gli occidentali. L’ala politica dei Talebani, quella del Mullah Abdul Ghani Baradar, a differenza di quella militare, guidata dal Mullah Mohammad Yaqoob, figlio del fondatore del gruppo, il Mullah Omar, è conscia di non poter guidare il paese da soli con un consiglio dei 12 ricoperto solo da rappresentanti degli studenti coranici ed è possibile che optino per un governo più ampio ed inclusivo, anche se restano molte incertezze a tale proposito.

Fonti vicine a Baradar e Yaqoob hanno detto che i due Mullah vorrebbero includere nel consiglio di governo Ahmad Massoud, figlio del comandante anti talebano Ahmad Shah Massoud, ucciso da al Qaida due giorni prima degli attacchi dell’11 settembre agli Stati Uniti. Ma ad altri osservatori sembra improbabile.

Massoud ha formato un movimento di resistenza nella valle del Panjshir, a circa 100 miglia da Kabul. La provincia è rimasta fuori dal controllo del regime talebano del 1996-2001, e fonti vicine a Massoud affermano che è determinato a mantenerlo così.

I Talebani sono così stretti tra le posizioni intransigenti di alcuni “signori della guerra” tra cui il leader uzbeko Abdul Rashid Dostum e Atta Mohammad Noor, rifugiatisi all’estero o asseragliati nel Panjshir, che li spingono alla formazione di un governo inclusivo tramite la mediazione dell’ex presidente Karzai; e dall’altro lato dai membri dell’Isis-K che vogliono radicalizzare l’emirato spostandolo verso uno stato senza relazioni internazionali, sede logistica di gruppi terroristici e traffici di droga e armi.  

La minaccia dell’Isis-Khorosan

Lo Stato islamico Khorosan ha rivendicato l’attentato del 26 agosto che ha provocato 200 morti di cui 13 soldati americani al gate dell’aeroporto di Kabul e il lancio dei razzi sempre a Kabul neutralizzati dai sistemi antimissile Patriot degli americani. L’unico ambito di cooperazione tra Stati Uniti e Talebani potrebbe essere proprio sulla minaccia terroristica rappresentata dai militanti dello Stato islamico che non esitano a condurre stragi contro i civili innocenti per diffondere il terrore.

Ci sono molte domande ancora senza risposte precise su come i servizi di sicurezza di Washington e i Talebani possano coordinare e potenzialmente anche condividere informazioni per contrastare il gruppo dell’Isis-K.

Senza dimenticare che il Mullah Mansur Hesar, talebano e comandante di 150 uomini, ignorato dalle nuove nomine della provincia orientale di Nangarhar, ha deciso di passare nelle file dello Stato islamico.

Lo Stato islamico Khorasan, che prende il nome da un termine storico per la regione, è apparso per la prima volta nell’Afghanistan orientale alla fine del 2014 e ha rapidamente stabilito una reputazione di estrema brutalità per i suoi metodi crudeli.

Il gruppo ha rivendicato la responsabilità dell’attentato suicida del 26 agosto all’esterno dell’aeroporto che ha ucciso 13 soldati statunitensi e decine di civili afgani. 

Da allora gli Stati Uniti dalla base militare dislocata in Qatar hanno effettuato almeno due attacchi di droni contro il gruppo e il presidente americano ha affermato che la sua amministrazione continuerà a vendicarsi per l’attacco.

L’Isis-K è un nemico giurato dei Talebani. Ma i funzionari dell’intelligence statunitense ritengono che il movimento abbia utilizzato l’instabilità che ha portato al crollo del governo afghano appoggiato dall’occidente questo mese per rafforzare la sua posizione e aumentare il reclutamento di membri Talebani esclusi da promozioni o rimasti delusi dai nuovi equilibri di potere ritenuti troppo dialoganti con gli occidentali.

Il contenimento di Blinken

Il capo della diplomazia di Washington ha spiegato che, in materia di lotta al terrorismo, gli Usa continueranno a dialogare in futuro con i Talebani ai massimi livelli ma non si affideranno a loro. «Andando avanti, ogni impegno con i Talebani sarà guidato da un solo fattore: il nostro interesse nazionale», ha sottolineato Blinken, aggiungendo tuttavia che «ogni passo sarà fatto non sulla base di quel che il governo talebano dice, ma di quel che fa realmente».

I Talebani, inoltre, dovranno “guadagnarsi” il sostegno, iniziando con il rispetto di donne e minoranze e con la formazione di un governo “inclusivo”. Infine, ha sottolineato sempre Blinken, «non dovranno verificarsi attacchi di rappresaglia».

Con il completamento del ritiro militare si apre «un nuovo capitolo dell'impegno degli Stati Uniti con l’Afghanistan», che prevede la formazione di un nuovo team diplomatico a Doha, in Qatar, dopo la sospensione delle attività a Kabul, ha concluso Blinken.

La Raf pronta a colpire l’Isis

In questo quadro molto confuso l’aviazione britannica ha fatto sapere di essere pronta a lanciare attacchi aerei contro l’Isis in Afghanistan. Lo ha detto il maresciallo dell’aria Mike Wigston al Daily Telegraph, sottolineando che la Raf – nel caso la situazione lo richiedesse – è anche pronta a «inviare truppe o equipaggiamenti in un determinato paese».

L’impegno dell’alto ufficiale della Raf segue l’attentato dell’Isis all'aeroporto di Kabul costato la vita anche a due britannici e al figlio di un cittadino britannico, oltre che a 13 soldati americani e oltre 150 civili afgani.

Le vittime militari britanniche in Afghanistan ammontano a 457 negli ultimi vent’anni. «Se c'è un’opportunità per noi di contribuire, non ho dubbi che saremo pronti a farlo, ovunque l’estremismo violento alzerà la testa e rappresenterà una minaccia diretta o indiretta per il Regno Unito e i nostri alleati», ha proseguito Wigston.

«In definitiva dobbiamo essere in grado di svolgere un ruolo globale nella coalizione globale per sconfiggere Daesh», ha concluso riferendosi all’Isis. Una posizione già espressa nei giorni scorsi dai massimi esponenti politici e militari di Londra, senza dimenticare che l’Afghanistan è un paese che gli inglesi hanno contributo a “creare” tramite la linea Durand nel 1919.

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