Raccogliamo in un riassunto tutte le questioni principali che girano attorno alla guerra e alla situazione in Afghanistan.

Nation Building-Invasione Militare

Il concetto di nation building si è sovrapposto, confondendosi con la vera e propria invasione militare. Dopo il colonialismo nessuno aveva più osato immaginare di poter cambiare dall’esterno il corso di una nazione, usando la copertura di imponente dispiego di forze militari.

Corruzione

Da subito è stato chiaro che il massiccio investimento internazionale, sarebbe diventato facile preda della corruzione. Prova ne è l’inchiesta interna alle Nazioni Unite a Kabul del 2010 che rivelò che una parte consistente degli stipendi destinati alla polizia, finiva nelle tasche di potentati locali e contractor occidentali. È molto probabile che lo stesso sia avvenuto con l’esercito afgano: la stima che sulla carta era di oltre 300mila effettivi potrebbe essere stata effettivamente di soli 50mila soldati. I cosiddetti ghost soldiers costituivano l’occasione per intascare i loro stipendi.

Dal 1993 al 1996 i talebani conquistarono un po’ alla volta il paese, anche grazie al fatto che la popolazione apprezzava che li proteggessero inizialmente dalle bande armate di mujaheddin che taglieggiavano qualunque attività nelle loro rispettive zone di influenza. 

Il Surge e le zone grigie dei Servizi Segreti Pakistani

Al picco del “Surge” truppe teorizzato dal Generale Petraeus si raggiunse l’incredibile cifra di 140mila soldati americani, oltre i 9mila inglesi e qualche altre migliaia di soldati di paesi europei. Pressoché impossibile schiacciare la resistenza armata talebana nelle zone rurali, i talebani continuavano a ricevere assistenza e armi da zone grigie dell’apparato militare e dei servizi segreti pakistani: Hamid Gul il famigerato ex capo dell’ISI - i servizi segreti afgani - già nel 2010 teorizzava la vittoria dei talebani e il ritiro delle truppe americane.

Proverbi Pashtun

Il proverbio pashtun: «voi avete gli orologi, noi il tempo» mai come in questi anni si è dimostrato attendibile. Parafrasando si potrebbe dire: «voi avete la superiorità tecnologica, noi la conoscenza del terreno», oppure «voi avete i soldi, noi la motivazione».

25 anni di Talebani

I grande interrogativo: sono cambiati dai talebani, che 25 anni fa già gestivano mezzo paese?La voglia di progresso e di normalità ampiamente condivisa dalla maggior parte dell’opinione pubblica afgana mal si concilierebbe con un sistema retrogrado, ma anche con quello attuale negli anni ha amplificato drammaticamente le disparità sociali. Oggi oltre metà della popolazione ha meno di 18 anni e ha aspirazione alla libertà e ai diritti essenziali della persona.

Le due anime del paese

Gli echi del panico della popolazione di Kabul giunge attenuato nelle remote province dove ancora prevale lo stile di vita tribale, segnato dalla scarsità di risorse naturali, dalla mancanza di infrastrutture e di servizi. I talebani si sono nutriti di questa cultura popolare, interpretandola e in molti casi deformandola nell’ideologia di una sharia che consente atti di violenza come la lapidazione. Non è pensabile però che la popolazione delle grandi città possa sottomettersi allo stile di vita tradizionale tollerato nelle comunità rurali.

I Talebani di Doha o quelli delle violenze “porta a porta”?

Le dichiarazioni, spesso in inglese, dei Talebani che hanno trattato a Doha. Questi saranno in grado di contenere le violenze e i soprusi dei giovani talebani induriti da anni di guerra sul campo e alla ricerca di facili vendette?

PTSD

Gli americani conoscono e studiano da anni la sindrome psicotica del (Post Traumatic Stress Disorder), per i loro soldati. Ma lo shock di violenze continue ha traumatizzato però anche buona parte della popolazione afgana.

La voglia di fuggire costi quel che costi è  in parte dovuta alla paura del nuovo regime ma anche alla sfiducia in quel nation building di cui sopra.

Prova del 9

Ecco 3 punti (ce ne sono ovviamente molti altri) su cui misurare l’atteggiamento concreto dei leader talebani:

  • Diritti delle donne e educazione;
  • Libertà religiosa, in particolare per le comunità sciite e la minoranza Hazara;
  • Rapporti con la comunità internazionale e capacità di collaborare con le Ong e le Nazioni Unite.

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