Dopo Francia, Regno Unito, Portogallo, ora anche la clamorosa svolta di Berlino. L’ira di Tel Aviv: «i tedeschi tornano a sostenere il nazismo». Ennesima strage a Gaza: almeno 100 morti. Trump: «Hamas si deve arrendere»
Le dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron sul riconoscimento dello stato della Palestina hanno innescato un effetto domino che è arrivato fino a Berlino. Inaspettatamente anche la Germania ha annunciato che inizierà un processo per il riconoscimento dello stato palestinese. E questo processo «deve iniziare ora», ha detto ieri il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul.
Un chiaro messaggio politico rivolto al governo di Benjamin Netanyahu, che arriva in un momento in cui all’interno dell’Ue Berlino è tra i paesi – insieme all’Italia – che si oppongono all’adozione di contromisure contro Israele.
«La Germania non si tirerà indietro di fronte a questo obiettivo. E sarà anche costretta a reagire a passi unilaterali», ha detto Wadephul. Il paese, ha aggiunto, «sarà al fianco di Israele per chiedere che Hamas liberi gli ostaggi e sia disarmata», ma «Israele deve intraprendere un’azione immediata, completa e sostenibile per porre rimedio alla situazione catastrofica della Striscia di Gaza».
Missione a Tel Aviv
Proprio ieri Wadephul è giunto a Tel Aviv per incontrare il suo omologo israeliano, Gideon Sa’ar, prima di recarsi oggi in Cisgiordania. Immediata la reazione del ministro della Sicurezza nazionale ed esponente dell’estrema destra, Itamar Ben-Gvir, alle parole del suo omologo tedesco: «La Germania torna a sostenere il nazismo».
Francia, Regno Unito, Portogallo, Finlandia e ora anche Germania. A guardare la cartina geografica dell’Unione europea, rimangono pochi paesi che non hanno intenzione di iniziare un processo di discussione interno per arrivare poi al riconoscimento della Palestina.
Dopo l’accelerazione degli ultimi giorni, sono una minoranza i paesi membri dell’Ue a rimanere inermi sulla questione, e tra questi spicca l’Italia di Giorgia Meloni, che era a Tunisi per discutere di migranti, Piano Mattei e Libia. Tra i paesi del G7, rimangono solo Roma e Washington, dopo che anche il Giappone ha confermato il suo impegno per il riconoscimento della Palestina ma che ci vorrà del tempo.
A meno che non ci siano clamorosi dietrofront valgono le parole pronunciate dalla premier pochi giorni fa. «Credo – aveva detto – che il riconoscimento dello Stato di Palestina, senza che ci sia uno Stato della Palestina, possa addirittura essere controproducente per l’obiettivo. Se qualcosa che non esiste viene riconosciuto sulla carta, il problema rischia di sembrare risolto quando non lo è». E poi aveva aggiunto: «Essendo favorevolissima allo Stato della Palestina, non sono favorevole al suo riconoscimento a monte di un processo per la sua costituzione».
Parole ambigue e contraddittorie che nascondono una difficoltà palese per la premier: rompere sulla questione con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Mentre in questi giorni i leader europei si esprimono con nettezza, Meloni si è limitata ad avere un colloquio telefonico con Benjamin Netanayhu al quale ha ribadito discorsi già pronunciati in questi mesi.
Annettere la Cisgiordania
Indipendentemente dalla mancanza di coraggio del governo italiano c’è un elemento obiettivo: riconoscere uno stato palestinese significa anche riconoscere una sua sovranità territoriale oltre al diritto all’autodeterminazione di un popolo. È molto di più di un atto politico. I progetti di annessione delle autorità israeliane, l’espansione illegale degli insediamenti dei coloni nei territori occupati e altri crimini pronunciati dai ministri del governo Netanyahu assumerebbero agli occhi della comunità internazionale un significato totalmente diverso.
Ieri i ministri della Difesa e della Giustizia d’Israele hanno annunciato in una dichiarazione congiunta che «in questo momento, c’è un’opportunità che non dobbiamo perdere», riferendosi all’annessione della Cisgiordania. Riconoscere lo stato della Palestina, quindi, distinguerebbe uno stato aggressore da uno aggredito e nessun paese avrebbe più scuse per non prendere serie contromisure contro Israele, come per esempio sanzioni economiche, spingendosi oltre le dichiarazioni di condanna.
«Il modo più rapido per porre fine alla crisi umanitaria a Gaza è che Hamas si arrenda e liberi gli ostaggi», ha detto ieri presidente Donald Trump. Dichiarazioni che sottintendono come la carestia a Gaza sia deliberata e venga usata come leva da parte dello stato ebraico per esercitare pressioni sul gruppo palestinese. Negli ultimi giorni alcuni aiuti sono stati lanciati dagli aerei cargo dei paesi alleati, ma sono «insufficienti» ha fatto sapere ieri l’Onu.
Trump ha annunciato nei giorni scorsi che la Casa Bianca aprirà nuovi centri di distribuzione di pacchi alimentari nella Striscia e saranno gestiti da «persone molto per bene». Anche per questo motivo è atterrato ieri a Tel Aviv il suo inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che ieri ha incontrato Netanyahu.
Intanto è inarrestabile la conta dei morti. Nelle ultime 24 ore almeno 101 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia, di cui almeno 30 mentre aspettavano gli aiuti. E in Libano tornano i bombardamenti: il ministro della Difesa Katz ha detto che l’Idf ha colpito il più grande sito di missili di Hezbollah.
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