A oltre un anno di distanza, la premier torna alla corte del presidente autoritario Kais Saied prima di partire per la Turchia. Le recenti tensioni militari a Tripoli preoccupano il governo, visto che il 90 per cento dei migranti arrivati in Italia proviene proprio dalla vicina Libia
La premier Giorgia Meloni è tornata in Tunisia a oltre un anno dalla sua ultima visita avvenuta nell’aprile del 2024. A palazzo Cartagine ha incontrato il presidente Kais Saied e alcuni suoi ministri. Al centro della visita non solo i rapporti bilaterali tra i due paesi ma anche il Piano Mattei e la questione migratoria.
Un anno fa Meloni aveva incontrato Saied accompagnata dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, dalla ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, e dal viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli. Questa volta ci è tornata da sola e con un viaggio lampo.
Piano Mattei
La Tunisia è uno dei paesi del continente africano che rientra nel progetto del Piano Mattei, sono tre le visite effettuate dalla Struttura di missione da novembre 2024. Un progetto che per il momento ha una dotazione finanziaria irrisoria rispetto alle ambizioni annunciate del piano e che, come Domani ha già raccontato, non solo resta ancora molto opaco ma punta soprattutto ad accaparrarsi le risorse energetiche dei paesi del continente africano.
Non è un caso se nei documenti ufficiali della cabina di regia alla voce Tunisia, oltre a progetti più piccoli in ambito della formazione professionale e sul settore agricolo, ci sono piani economici più rilevanti per sviluppare la produzione di idrogeno verde in collaborazione con Enel, Eni e Acea. Finora la premier Meloni ha sempre voluto sottolineare nelle sue uscite pubbliche di voler evitare ogni approccio «predatorio» ma la realtà si conferma essere molto diversa.
Nel pomeriggio Palazzo Chigi ha rilasciato una nota per ribadire i rapporti eccellenti con il presidente Saied. Secondo la dichiarazione, i due hanno discusso dei progetti in ambito agricolo e idrico e di «cooperazione nel settore dell’energia». «In questo quadro – si legge nella nota – la presidente Meloni ha riaffermato l’impegno italiano nella realizzazione dell’elettrodotto Elmed, infrastruttura strategica per Italia e Tunisia e il continente europeo. Un progetto che vede anche l’impegno del settore privato italiano per la produzione di energie rinnovabili in Tunisia».
Migranti
La visita mira a rinforzare anche la cooperazione tra i due paesi nel controllo delle frontiere e a discutere soprattutto del dossier libico. Nel 2025 sono arrivati sulle coste italiane 36.545 migranti, ma il 90 per cento è partito dalle coste libiche. Un dato in crescita rispetto al 9,15 per cento del 2024. Lo scenario inizia a diventare più preoccupante per Meloni se si considera la forte instabilità in corso nel paese nord africano.
Da due mesi a Tripoli e dintorni sono in corso forti scontri tra milizie filogovernative e antagoniste che rischiano di portare nuovamente a una guerra civile più ampia. Anche per questo, dopo la visita in Tunisia Meloni andrà in Turchia per incontrare il presidente Recep Tayyip Erdogan, uno degli attori politici principali in Libia che – oltre a sostenere il governo tripolino di Abdel Hamid Dbeibeh – sta rafforzando anche i suoi rapporti con la Cirenaica governata dal generale Khalifa Haftar.
«L’incontro – fa sapere inoltre Chigi – è stata l’occasione per fare il punto sull’eccellente cooperazione in materia migratoria e sull’impegno comune nel contrastare le reti criminali di trafficanti di esseri umani e allo stesso tempo promuovere vie legali di migrazione anche nel contesto del Processo di Roma».
Diritti umani
Sullo sfondo della visita c’è lo stato dei diritti umani nel paese e la svolta autoritaria da parte di Saied. Negli ultimi anni il presidente tunisino ha approvato una serie di decreti che criminalizzano il dissenso. Centinaia tra attivisti, avvocati e difensori di diritti umani sono stati incarcerati semplicemente per aver criticato le scelte del governo. La società civile denuncia un clima del terrore e un ritorno ai tempi della dittatura di Ben Ali, deposto dopo la rivoluzione del 2011.
A tutto questo si aggiunge la repressione contro la comunità subsahariana presente nel paese. Da quasi due anni le forze di sicurezza tunisine sono protagoniste di deportazioni nel deserto di persone migranti, lasciate morire di stenti sotto il sole cocente. Ciò nonostante, l’Unione europea continua a finanziare Tunisi sulla base del Memorandum of understanding firmato nel 2023. Un accordo siglato proprio grazie alla mediazione strategica di Giorgia Meloni che con Saied vanta ottimi rapporti.
L’obiettivo principale dei governi europei è rafforzare la guardia costiera tunisina e la Garde Nationale, che si occupano del controllo delle frontiere, e spingere le autorità nazionali a eseguire un numero maggiore di rimpatri volontari. A ogni costo. Lo aveva già annunciato nella sua ultima visita a Tripoli il ministro Piantedosi.
Solo nel mese di luglio le autorità tunisine, in collaborazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, hanno rimpatriato mille persone. Spinti dalle violenze della polizia e dalle politiche xenofobe e razziste del presidente Saied, centinaia di migranti appartenenti alla comunità subsahariana sono stati di fatto costretti a tornare nei rispettivi paesi. Vengono chiamati rimpatri volontari, ma nei fatti – denunciano molte organizzazioni – si tratta di vere e proprie espulsioni verso gli stessi paesi da cui le persone migranti hanno deciso di partire.
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