Ward Jalal al Sheikh Khalil è una delle poche sopravvissute al raid aereo israeliano che all’alba del 26 maggio ha colpito la scuola Fahm al Jarjawi a Gaza city. Ha solo 7 anni e una famiglia intera da piangere ad eccezione del padre, rimasto gravemente ferito. Alcuni video girati dopo il bombardamento la ritraggono camminare tra le fiamme per mettersi in salvo, mentre sullo sfondo i suoi coetanei morivano. La scuola dava rifugio a decine di sfollati.

L’ennesimo massacro in una guerra in cui da oltre 19 mesi non ci sono più limiti o regole. Tra i 32 morti nel raid, si contano 18 bambini. Sessanta i feriti. L’esercito israeliano ha detto di aver preso di mira la struttura per colpire diversi esponenti di Hamas.

Odio a Gerusalemme

La violenza della guerra è arrivata ieri anche a Gerusalemme, dove centinaia di giovani ultranazionalisti israeliani hanno marciato nella Città Vecchia al grido di «possa il tuo villaggio bruciare» e «morte agli arabi» mentre i palestinesi presenti venivano presi a pugni e calci.

La marcia delle Bandiere è stata organizzata in occasione della commemorazione della conquista di Gerusalemme Est da parte di Israele nel 1967, ma si è trasformata in una manifestazione di odio etnico e religioso che non ha risparmiato neanche la sede dell’Unrwa dove decine di estremisti hanno fatto irruzione. «La festa dell’odio e del razzismo, in cui adolescenti ebrei attaccano i quartieri arabi, è già diventata una tradizione in occasione del Jerusalem Day nella Città Vecchia. Questa è una vergogna e un insulto all’ebraismo. Non c'è nulla di ebraico in questa violenza», ha affermato il leader dell'opposizione israeliana, Yair Lapid.

Insieme ai giovani dell’ultra destra israeliana c’era anche il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir che provocatoriamente ha pregato nella Spianata delle moschee. Aizzando la folla, Ben Gvir ha anche criticato la lenta ripresa degli aiuti umanitari verso Gaza: «Dico al primo ministro, non dobbiamo fornire loro aiuti umanitari, non dobbiamo fornire loro carburante. I nostri nemici meritano solo una pallottola in testa». Il risultato è che due milioni di civili è malnutrito e più di 29 palestinesi sono già morti di inedia.

Dimissioni

In attesa che altri camion carichi di aiuti entrino a Gaza, ieri è stato aperto il primo dei quattro centri di distribuzione che serviranno a fornire cibo ai palestinesi. A gestirlo è la Gaza humanitarian foundation (Ghf) mentre la sicurezza sarà garantita da due contractors privati. Nonostante le critiche internazionali il governo israeliano ha finalizzato il suo piano varato di concerto con Washington.

Questo contribuirà allo sfollamento della popolazione verso il sud della Striscia con gli aiuti diventeranno di fatto una concessione dato che saranno distribuiti soltanto dopo un lungo screening della popolazione da parte delle autorità israeliane.

Si tratta di un precedente molto pericoloso che ha già creato una crepa all’interno della Ghf. Il ceo della fondazione, l’ex marines Jake Wood, ha rassegnato le dimissioni con una lettera più che eloquente: «È chiaro che non è possibile attuare questo piano nel rigoroso rispetto dei principi umanitari, neutralità, imparzialità e indipendenza».

Dalla Striscia Hamas ha minacciato la popolazione a cui ha intimato di non usufruire degli aiuti. «Chi collabora pagherà, saranno adottate le misure necessarie», ha detto l’organizzazione. «Israele sfrutterà gli aiuti per reclutare collaboratori».

Il risveglio

Di fronte alle immagini provenienti da Gaza crescono anche le pressioni internazionali nei confronti di Israele e dei suoi alleati occidentali. «Non capisco più quello che l'esercito israeliano sta facendo nella Striscia di Gaza, quale sia lo scopo», ha detto ieri il neocancelliere tedesco Friedrich Merz posizionando la Germania in una nuova prospettiva politica rispetto all’approccio avuto dal suo predecessore. «Attaccare la popolazione civile come è stato sempre più il caso negli ultimi giorni non può più essere giustificato con una lotta contro il terrorismo di Hamas», ha aggiunto.

Anche dentro le istituzioni europee cresce il malcontento per la linea politica adottata dai vertici dell’Unione europea su Gaza. Queste – si legge in una lettera firmata da dipendenti e funzionari – «si sono dimostrate inadeguate ad alleviare la situazione sul campo o a rispettare le norme internazionali e lo stato di diritto, in conformità con i principi e le linee guida dell'Ue sulla promozione del rispetto del diritto internazionale umanitario». La nota critica apertamente la risosta dei leader Ue «troppo spesso limitata a dichiarazioni di preoccupazione, con poche o nessuna azione significativa».

In questo scenario di morte e distruzione sono riprese le discussioni sul possibile raggiungimento di una tregua dopo giorni di silenzio. In mattinata alcuni funzionari di Hamas avevano riferito di aver accettato la nuova bozza di accordo proposta dagli Stati Uniti. Poche ore più tardi, l’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha smentito: «Quello che ho visto da Hamas è deludente e completamente inaccettabile». Ma in serata il premier Benjamin Netanyahu, sempre più isolato, si è detto fiducioso di annunciare un possibile accordo sugli ostaggi nelle prossime ore.

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