Nella notte di lunedì 10 aprile sono circolate sui social network le notizie di un presunto attacco chimico contro la città di Mariupol. La voce principale a sostegno di questa tesi è Andriy Biletsky il leader del battaglione Azov, gruppo paramilitare di estrema destra incorporato alle unità di difesa territoriale ucraine, che dal 2014 combatte nella regione contro i separatisti filo russi. Biletsky ha detto al Kyiv Independent che tre persone hanno presentato sintomi di avvelenamento chimico ma senza «conseguenze disastrose».

Il presunto attacco sarebbe stato lanciato dai russi tramite un Uav, ovvero un aereo che vola senza equipaggio. È difficile fare verifiche, sul posto mancano anche i giornalisti a causa dell’assedio russo che va avanti da 47 giorni e che secondo il sindaco Vadym Boychenko avrebbe causato oltre ventimila morti.

Il portavoce della milizia popolare dell’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk, Eduard Basurin, ha detto all’agenzia russa Interfax che nella loro offensiva al fianco dell’esercito russo a Mariupol non hanno usato alcun tipo di armi chimiche.

Nel pomeriggio di ieri le autorità locali del villaggio di Novoyakovlivka, nella regione di Zaporizhzhia, hanno detto che sono stati bombardati con bombe al fosforo. Non ci sono vittime o feriti, ma neanche conferme per il momento. Questo tipo di accuse non sono nuove.

Nel mese di marzo il Cremlino ha accusato le autorità ucraine di portare avanti un programma per lo sviluppo di armi chimiche con il supporto degli Stati Uniti. La Casa Bianca ha smentito e ha considerato la questione come un false flag, un pretesto che l’esercito russo cerca per poter giustificare un utilizzo di armi chimiche in Ucraina.

La posizione degli Stati Uniti

I leader internazionali non si sono ancora espressi su Mariupol, come invece accaduto con altre atrocità commesse in questa guerra: i civili giustiziati a Bucha o il bombardamento della stazione di Kramatorsk.

Neanche gli americani si sbilanciano. «Siamo al corrente di notizie che circolano sui social media secondo cui le forze russe hanno dispiegato una potenziale arma chimica a Mariupol. Non possiamo confermarlo al momento ma continuiamo a monitorare la situazione da vicino», ha detto il portavoce del Pentagono, John Kirby. Estrema cauzione dopo che lo scorso 25 marzo il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, al termine dell’incontro con gli alleati Nato a Bruxelles ha detto ai giornalisti che in caso di un possibile attacco con armi chimiche da parte di Mosca ci sarà una risposta commisurata.

«La natura della risposta dipenderebbe dalla natura dell’uso», ha detto in maniera confusa Biden. Nelle ore successive diversi funzionari della Casa Bianca hanno detto alla stampa statunitense che non c’è intenzione di intervenire nel conflitto armato e che piuttosto stavano valutando un altro pacchetto di sanzioni. Ma la risposta confusa di Joe Biden è figlia di un’altra guerra .

Il precedente siriano

«Abbiamo imparato la lezione» ha detto un funzionario dell’amministrazione democratica citato da Abc news dopo l’uscita di Biden. Si riferisce alla risposta inefficace degli Stati Uniti dopo l’utilizzo di armi chimiche in Siria nel 2013 da parte di Bashar al Assad. L’allora presidente Barack Obama, aveva definito una «red line», una linea rossa che il presidente siriano non avrebbe dovuto superare: nella guerra civile non doveva usare armi chimiche.

«Siamo stati molto chiari con il regime di Assad, ma anche con altri attori sul terreno, che una linea rossa per noi è quella di iniziare a vedere un gruppo di armi chimiche in movimento o utilizzate. Questo cambierebbe il mio calcolo. Questo cambierebbe la mia equazione», aveva detto Obama nell’agosto del 2012 ammonendo anche la Russia, uno degli «altri attori sul terreno» e facendo presagire un intervento militare. Un anno dopo le dichiarazioni di Obama, nella città di Ghouta, si è verificato l’attacco più sanguinario della guerra civile siriana. Per via del gas sarin e del cloro sono morte centinaia di persone.

Non esistono dati ufficiali univoci, e probabilmente ce li avremo mai, ma le stime vanno da almeno 281 persone a 1.789 vittime. Per il governo statunitense sono morte 1.400 persone. Dopo qualche giorno da quel brutale attacco Barack Obama ha detto: «Non ho fissato una linea rossa. Il mondo ha fissato una linea rossa». Il suo staff era diviso tra chi spingeva per un intervento come Hillary Clinton e chi invece sosteneva una posizione meno dura come il vice presidente Joe Biden. «Non c’è dubbio su chi sia responsabile di questo atroce uso di armi chimiche in Siria: il regime siriano», aveva detto Biden in un discorso all'American Legion a Houston.

«Coloro che usano armi chimiche contro uomini, donne e bambini indifesi dovrebbero e devono essere ritenuti responsabili», diceva Joe Biden. Gli Stati Uniti sono intervenuti in Siria nel 2014 e all’inizio con operazioni militari dirette a colpire i miliziani dell’Isis che avanzano sul terreno prendendo il controllo di diverse città del paese. Solo nel 2017 è arrivato il primo bombardamento americano contro l’esercito siriano nella base aerea di Shayrat. A scatenare l’intervento è l’attacco chimico a Khan Shaykun, dove sono morte circa 80 persone.

Ma la lista degli attacchi chimici piombati sulla testa dei civili siriani è lunga, se ne contano a decine. Lo scorso agosto il dipartimento di Stato americano ha rilasciato un comunicato per l’ottavo anniversario dei fatti di Ghouta.

«Gli Stati Uniti condannano con la massima fermezza l'uso di armi chimiche ovunque, da chiunque, in qualsiasi circostanza, e ribadiamo la nostra determinazione a garantire che non ci sia impunità per coloro che usano queste armi», si legge nel testo.

A otto anni di distanza il presidente Bashar al Assad è ancora al potere grazie al suo protettore Putin e si sta riabilitando sul piano internazionale. Nelle prossime ore si saprà di più ciò che è accaduto a Mariupol e su cosa deciderà di fare Biden, remore del passato siriano.

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