È allarme sulla salute di Maja T., antifascista sotto processo in Ungheria nello stesso procedimento in cui è imputata Ilaria Salis. Dopo 36 giorni di sciopero della fame le sue condizioni sono in rapido deterioramento e, anche per questo motivo, i familiari chiedono al governo tedesco un intervento urgente per riportarl* nel suo paese, la Germania.

Intanto prosegue il suo ricovero in un ospedale a 260 km da Budapest dove, nonostante non abbia dato il consenso a nessun trattamento sanitario, i medici continuano gli accertamenti e le cure. I sui avvocati denunciano inoltre gravi violazioni dei diritti fondamentali, compresa l’assenza di un’adeguata assistenza linguistica e legale.

Attivisti e organizzazioni per i diritti umani in tutta Europa stanno seguendo il caso con crescente preoccupazione, chiedendo il rispetto della volontà di Maja e la fine immediata della detenzione in condizioni giudicate inumane. Il caso sta diventando uno dei simboli della resistenza alla crescente repressione in Ungheria, dove il governo di Viktor Orbán minaccia sempre più lo stato di diritto e l’indipendenza della magistratura.

La situazione

L’attivista, però, versa in condizioni sempre più critiche nonostante il ricovero imposto dieci giorni fa a causa del suo rapido peggioramento. L’elemento che desta maggior preoccupazione è che Maja ha raggiunto un livello di denutrizione estremo: il suo peso, con i vestiti addosso, è di appena 66 chilogrammi. Dall’inizio del suo digiuno ha perso circa 14 chilogrammi, il suo corpo ha ormai esaurito le riserve di grasso e ha iniziato a consumare le proteine muscolari, processo che porterà rapidamente a un deterioramento irreversibile degli organi vitali.

Una situazione che sta già facendo registrare ripercussioni allarmanti a livello cardiologico. Nella giornata del 10 luglio è previsto un eco cardiogramma sotto sforzo, ma nel frattempo si valuta una misura estrema: un pacemaker. Una soluzione che la famiglia respinge. «Non deve essere impiantato contro la sua volontà» - dice il padre, Wolfram Jarosch. - La bradicardia è una conseguenza dello sciopero della fame, non una malattia del cuore». Perché in tutta questa vicenda, ancora una volta, assistiamo all’umiliazione di Maja, le sue sono volontà ignorate. Prima dello sciopero della fame aveva dichiarato di non volere alcun trattamento medico durante la sua detenzione. Un mese dopo è arrivato il ricovero e un’assistenza contraria alle volontà dell’attivista.

C’è poi un ulteriore fattore che alimenta preoccupazioni sulla salute e la dignità di Maja: l’ospedale penitenziario dove si trova non può garantire un monitoraggio costante. L’unica alternativa proposta è il trasferimento in un ospedale civile, dove però Maja verrebbe incatenat* al letto per 24 ore al giorno, per ragioni di sicurezza. Una prospettiva inaccettabile per i familiari: «Una misura del genere sarebbe crudele e priva di giustificazione medica».

La solidarietà

Per questi motivi i familiari continuano a chiedere a gran voce che Maja possa tornare quanto prima in Germania per essere sottoposta a cure adeguate e ad un processo equo. Domenica, 6 luglio, la marcia di protesta "A piedi per la giustizia!" ha raggiunto Berlino. Per nove giorni, Wolfram Jarosch ha camminato per circa 300 chilometri: da Jena, sua città natale, alla capitale. Lungo il suo cammino Wolfram ha raccontato la vicenda di Maja per mantenere alta l’attenzione sul caso e tentare di stimolare il dibattito pubblico. Arrivata a Berlino, la marcia si è conclusa, dopo un presidio davanti alla Corte che autorizzò l’estradizione di Maja, al ministero degli Esteri dove sono state consegnate le 100mila firme raccolte a sostegno di una petizione per chiedere il suo ritorno a casa. «Maja - ha dichiarato Jarosch - è stat* deportat* in piena notte, per aggirare la giustizia. È vostro dovere morale e politico riportarl* a casa».

Ma sono sempre più numerose le iniziative di solidarietà che, nelle ultime settimane, hanno visto mobilitarsi migliaia di persone in Germania: presidi davanti al Bundestag, lettere aperte firmate da intellettuali, studenti, insegnanti e azioni artistiche nelle piazze. Il caso di Maja ha generato un'ondata di solidarietà che attraversa generazioni diverse in tutto il paese, riportando al centro il tema della giustizia europea, del rispetto dei diritti fondamentali e della responsabilità della politica.

In molti denunciano il silenzio del governo tedesco, accusato di inerzia e di complicità passiva. In effetti, mentre in tutto il paese monta l’indignazione, il governo tace anche di fronte a condizioni di salute sempre più gravi. «Il fatto che Maja debba prima arrivare a una situazione così drastica è uno scandalo - ha commentato il padre - Queste condizioni di detenzione non sono più solo disumane, sono pericolose per la vita».

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